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REVERENDO, HO UCCISO

di Ivano Tolettini -


“Volevo l’eredità e la forza delle tenebre mi ha vinto. Il diavolo mi ha armato ed ho colpito forte mia cognata in testa più volte. Volevo i soldi di mio fratello che sentivo miei, ma con quello che ho commesso alla povera anima di Maria Luisa ho avuto in sorte tanta disperazione”. Il 76enne Gildo apre il suo cuore al sacerdote vicentino don Giuseppe. Gli scrive dal carcere confessando di avere ucciso la cognata a Melbourne, in Australia, anche per la villa di Monte Berico, la collina su cui sorge il santuario dedicato alla Madonna, che secondo la tradizione apparve a Vincenza Pasini tra il 1426 e il 1428, e dove vive l’agiata borghesia di Vicenza in dimore immerse nel verde.

LA LETTERA DEL KILLER

L’Identità è entrata in possesso della lettera confessoria che svela il giallo che per anni ha circondato la morte, inizialmente attribuita dalla polizia australiana a un evento accidentale, di una benestante emigrata assassinata dal cognato, che a distanza di tempo è stato vinto dal rimorso della coscienza. Un’angoscia che l’ha scarnificato spingendolo a confidarsi con un conoscente, che lo aveva riferito alla polizia affinché approfondisse ciò di cui era stato messo a parte. È la sceneggiatura di un film dell’orrore, quello interpretato da Gildo Faresin, portato all’attenzione dell’opinione pubblica un anno da Il Giornale di Vicenza, ma che adesso si arricchisce della confessione al prete. È la missiva inviata a un sacerdote della vallata dell’Agno con cui il killer ricostruisce il movente di un omicidio che ha raggelato quanti conoscevano i fratelli Faresin, figli di un emigrante partito a metà degli anni Cinquanta con un fratello per l’Australia per fare fortuna.

REVERENDISSIMO

Faresin a distanza di anni dall’efferato delitto si rivolge al “reverendissimo don Giuseppe” con la disperazione nel cuore- Gli rivela che alla periferia della capitale dello stato australiano di Victoria a fine ottobre 2008 aveva ammazzato Maria Luisa Filippi, pure lei vicentina ed emigrata da piccola con i genitori. Poiché l’abitazione era in ordine e sul corpo della vittima non c’erano segni di colluttazione, gli investigatori avevano archiviato il decesso della 66enne come un tragico evento accidentale. Tanto che nell’immediatezza dopo avere valutato nel ventaglio di ipotesi anche la pista della rapina, l’esito dell’autopsia aveva indotto i poliziotti a ritenere che la pensionata fosse morta battendo la testa contro un mobile. “Anche se – afferma una fonte a L’Identità – che la polizia non aveva mai archiviato il fascicolo perché un dubbio, seppur minimo rimaneva”. A distanza di quasi otto anni Faresin, nel 2016, viene arrestato e dopo qualche settimana decide di collaborare. Non senza prima avere scritto al “reverendissimo don Giuseppe”, per spiegargli di avere commesso “fatti di un grave e grandissimo peccato contro Nostro Signore e la povera Maria Luisa”. La lettera è sgrammaticata e contiene molti errori di ortografia. La calligrafia è sofferta. Il killer dice che la cognata l’ha sempre trattato bene, come del resto il fratello Bepi, che alla guida di un’azienda edile, in cui lavorava anche Gildo, aveva messo da parte un bel gruzzolo. I due figli della coppia erano morti piccoli e anche l’omicida era senza prole. “Ho ricambiato mio fratello e Maria Luisa nel modo peggiore” per l’eredità milionaria: soldi, case, conti e polizze. Tra cui la villa di Monte Berico, che lo zio Gianfranco, pure lui senza figli, lasciò a Bepi. “Quando la polizia venne a prendermi tirai un sospiro di sollievo”, rivela l’assassino, condannato a 16 anni. “Chiedo ai cugini di Vicenza perdono”, conclude il killer, perché “reverendissimo don Giuseppe ho ucciso”.

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