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Ricostruzione post-sisma in Emilia: un unicum che deve diventare
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Oggi con Mattarella la cerimonia per il decennale del sisma tra le province di Modena e Ferrara. Qui gran parte degli edifici ricostruiti, ma qual è la situazione altrove?

di Federico Cenci -


Un boato, le oscillazioni, il terrore. E poi il sangue, la morte, la distruzione. Il terremoto dell’Emilia, avvenuto nel maggio 2012 e causa di 28 morti, 300 feriti, 45 mila sfollati e danni per 12,2 miliardi di euro, rappresenta uno spartito che si è ripetuto più e più volte nel corso della storia, recente e remota, della nostra nazione. Il sisma che colpì in particolare le province di Modena e Ferrara, tuttavia, costituisce un unicum nel suo genere. A differenza che altrove, infatti, la ricostruzione ha fatto il corso auspicato. È stata, per usare le parole pronunciate oggi nella cerimonia in ricordo dell’evento a Medolla, in provincia di Modena, dal presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, “una ricostruzione esemplare”. Qui, ha aggiunto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “le istituzioni hanno fatto la loro parte”, attraverso “confronto aperto, partecipazione, impegno, convergenza, e infine unità d’azione”.

Secondo i dati presentati in questi giorni dalla regione Emilia-Romagna, la ricostruzione in effetti procede spedita: se il cratere iniziale coinvolgeva 59 comuni, oggi è ristretto a 15. Ciò significa che in 45 comuni (il 76 per cento del totale) la ricostruzione è pressoché terminata, mentre negli altri è a buon punto. Su 6,5 miliardi di euro del fondo per la ricostruzione, ne sono stati già liquidati 5. Non solo: sono rientrate nelle proprie case 27 mila persone, la quasi totalità di quelle rimaste senza un tetto sopra la testa dopo il sisma, e le 570 scuole sono state tutte ristrutturate o ricostruite. Si registrano poi numerosi interventi per rilanciare piccole attività commerciali e artigiane, aziende agricole e industriali, per riqualificare uffici, botteghe, luoghi di culto.

Altrove non è andata esattamente così. Ne sanno qualcosa, ad esempio, gli aquilani. Il 6 aprile 2009 il sisma che colpì il loro territorio causò 309 morti, decine di migliaia di sfollati e intere località ridotte in cenere. La rabbia della popolazione de L’Aquila per una ricostruzione latente scoppiò a Roma l’anno successivo al terremoto: un gruppo di manifestanti provenienti dalle zone del cratere provò a dirigersi da piazza Venezia verso il Parlamento passando per via del Corso, ma il corteo fu sbarrato dalle forze dell’ordine e ne seguì qualche attimo di tensione. Di anni ne sono passati oggi tredici e la ricostruzione finalmente non è più una parola tabù a L’Aquila: oltre il 90 per cento degli edifici privati è stato rimesso in piedi, mentre per gli edifici pubblici la percentuale fino al 2021 era decisamente inferiore (poco sopra al 60 per cento). Certo la congiuntura storica non aiuta. Gianni Frattale, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) della provincia de L’Aquila, ha lanciato l’allarme all’Ansa: “Arrivano in Ance L’Aquila le prime segnalazioni di disdette dei contratti nei cantieri della ricostruzione in città, da parte di associati, dovute al problema del rincaro indiscriminato dei materiali edili, dell’impennata selvaggia delle materie prime e dell’esplosione dei costi dell’energia causati alla pandemia prima, dalla guerra in corso poi, quando non da spregiudicate speculazioni e truffe”. Quello descritto da Frattale è un “impatto devastante” sulle imprese che “mette a rischio” tutte le opere previste dal Pnrr.

Ma i ritardi nelle ricostruzioni post-sisma affondano le radici a prima che scoppiassero pandemia e guerra, basti considerare che nemmeno a seguito del terremoto dell’Irpinia del lontano 1980 è stata ultimata del tutto l’opera di recupero del patrimonio edilizio. Dall’Irpinia, salendo per l’Appennino, si arriva ad Amatrice, sede della prima di una serie di scosse che nel Centro Italia tra agosto 2016 e gennaio 2017 fece 299 vittime e una catastrofe di edifici distrutti con una iniziale stima dei danni pari a 16,5 miliardi di euro. A inizio anno la Corte dei Conti ha pubblicato i dati di un’indagine della Sezione centrale controllo gestione Amministrazioni Stato sugli interventi per la ricostruzione. “Dal 2016 al 2020, per le attività della gestione commissariale sono stati previsti 4,118 miliardi di euro, dei quali 2,568 trasferiti alla stessa”, sottolinea la Corte dei Conti, la quale ha accertato “una limitata utilizzazione delle risorse disponibili”, con “un’inversione di tendenza” registrata soltanto “a partire dalla seconda metà del 2020” grazie a modifiche organizzative e procedurali. Modifiche – precisa l’organo di rilievo costituzionale – “con cui si è inteso porre rimedio ai ritardi registrati sia nella ricostruzione privata che in quella pubblica”. La Corte dei Conti dunque chiosa: “Vista la natura del territorio del nostro Paese, più volte devastato dagli eventi sismici, vi è la necessità di uno studio per disciplinare, anche con opportuni interventi legislativi, l’organizzazione della fase successiva all’emergenza, mediante modelli idonei a velocizzare l’avvio delle fasi di ricostruzione”. L’auspicio è che l’appello dei magistrati contabili venga accolto con solerzia, così che l’efficace e rapida ricostruzione post-sisma dell’Emilia non resti un unicum.


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