Economia

Pnrr da rifare

di Giovanni Vasso -

CARLO BONOMI PRESIDENTE CONFINDUSTRIA


Questo Pnrr s’ha da rifare. Gli industriali si impuntano. E ora alzano la voce. Confindustria chiama il governo e bastona la politica, tanto le maggioranze che si sono alternate finora quanto l’opposizione: gli altri Paesi lo stanno già facendo, perché l’Italia non potrebbe modificare il suo piano nazionale di ripresa e resilienza.
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria e padrone di casa a Trento, ha parlato a conclusione del Festival dell’economia organizzato dal Gruppo Sole 24 Ore. Le sue parole sono state nette e hanno aperto un nuovo fronte del dibattito politico sulle strategie legate al Pnrr. Che, per il numero uno di viale dell’Astronomia, è sicuramente migliorabile: “Non tutti i progetti del piano hanno come obiettivo la crescita del Paese – ha dichiarato -, è evidente che vanno ricalibrati anche perché, nel frattempo, è cambiato tutto il mondo”. Già, perché quando si è iniziato a parlare del Pnrr, nell’ormai lontano 2021, il pianeta non aveva ancora sperimentato le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina che hanno comportato, specialmente in Europa, l’insorgere di una crisi energetica che ha avuto tra le sue conseguenze quella di innescare una parabola rialzista dell’inflazione. Che le banche centrali, nel Vecchio Continente come altrove, stanno inseguendo a suon di rincari del costo del denaro. Con le conseguenze purtroppo note, dalle crisi bancarie fino al credit crunch, ossia il blocco dei finanziamenti e l’impossibilità di accedere al credito per famiglie e imprese.
Bonomi ha spiegato: “Lo abbiamo sempre detto che era necessario rimettere mano al piano, bisogna avere il coraggio di dire cosa possiamo fare realmente nei tempi previsti e stabiliti”. Il presidente di Confindustria aggiunge un elemento nuovo al dibattito italiano. Il governo di Roma non sarebbe né il primo né l’unico, in Ue, a chiedere una rimodulazione del piano: “Già cinque Paesi lo hanno fatto”.
Intanto, il ministro agli Affari Europei e al Pnrr, Raffaele Fitto, ha chiesto un “approccio costruttivo” alla Corte dei Conti che “potrebbe supportare tutti i soggetti attuatori nella fase di rendicontazione, di campionamento, e di verifica del raggiungimento dei risultati, elaborando format, sistemi di autocontrollo che semplificherebbero i compiti dei singoli soggetti attuatori. In tal senso quindi i controlli non si sovrapporrebbero e il sistema sarebbe in grado di rispondere più efficacemente alle richieste europee”. Lavorare insieme, lavorare costruttivamente, lavorare bene, dice Fitto. Che spiega: “In relazione a quanto rilevato dalla Corte dei Conti in merito ai profili temporali di spesa del Pnrr, nel corso del 2021-2022 le spese sostenute sono riferite principalmente alle rendicontazioni di progetti in essere, quindi precedenti alla nascita del Piano, e inseriti nel Pnrr. In particolare alle misure quali il superbonus e il credito di imposta 4.0. A tale circostanza si aggiunge anche il fatto che a febbraio 2023 sulla base di indicazioni Eurostat è stata definita una nuova modalità di rendicontazione dei crediti fiscali che hanno sostanzialmente esaurito la loro dotazione finanziaria a valere sul Pnrr”. Pertanto: “Per quanto riguarda le spese del 2023 l’effettiva rendicontazione è subordinata all’avvio dei lavori dei circa 110 mld di opere pubbliche che, secondo i cronoprogrammi del Pnrr, inizierà nel corso del 2023”. La conclusione: “Solo dopo l’avvio dei lavori sarà possibile rendicontare gli stati di avanzamento e quindi si verificherà un conseguente aumento della spesa effettivamente sostenuta. Per le altre misure a sportello sono in corso di finalizzazione le procedure di attivazione e concessione dei finanziamenti e anche per tali interventi l’effettiva spesa sarà effettuata a partire dalla seconda metà del 2023”. Insomma, lasciateci lavorare. Mentre, intorno, infuria il dibattito. C’è Calenda che chiede di reintrodurre Industria 4.0 e la sinistra di Avs che attacca il governo mentre il ministro alla pubblica istruzione Giuseppe Valditara avverte: “In Italia sono circa 1,2 milioni di bambini che vivono in una condizione di significativa debolezza economica e si trovano quindi a rischio di povertà educativa, con le conseguenze che ne derivano. Questi bambini non possono permettersi la possibilità di partecipare a un evento, di visitare una mostra, di andare al cinema, più in generale di godere di consumi culturali che contribuiscono notevolmente allo sviluppo educativo complessivo dell’individuo. La conseguenza – sottolinea il ministro – è che in Italia 1 minore su 7 lascia prematuramente gli studi, quasi la metà non ha mai letto un libro, quasi 1 su 5 non fa sport. Troppi sono i ragazzi che sono privati delle opportunità educative e dei luoghi dove svolgere attività artistiche, culturali e ricreative che potrebbero di fatto aumentare notevolmente le loro opportunità di sviluppare adeguate competenze e di costruirsi un futuro migliore”. E non ci sarà Pnrr che basti per salvarli da un destino che pare già scritto.


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