Politica

“Riforma simile a quella di D’Alema. Giorgia parli all’Italia, non imiti Macron”

di Edoardo Sirignano -


“È imbarazzante sentire quella sinistra che con D’Alema lo propose osteggiare il semipresidenzialismo. È lo stesso controsenso del Ponte sullo Stretto. Detto ciò, al governo non basta parlare con le opposizioni. Si ricordi che un terzo degli italiani non ha votato”. A dirlo il costituzionalista Michele Ainis. Per il docente dell’Università Roma Tre, oggi, non serve l’ennesima bicamerale, ma un’assemblea elettiva che studi il progetto migliore per le comunità.
Le riforme, in questo momento, sono la priorità?
In Italia sono quaranta anni che parliamo di tempo delle riforme. Non saranno, quindi, né le prime, né le ultime quelle proposte dal governo Meloni. Il primo punto del programma elettorale con cui il centrodestra ha vinto le elezioni era appunto l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Dopo un semestre bianco, durante il quale l’argomento è stato inabissato, mi sembra abbastanza normale che venga tirato nuovamente fuori.
La nostra Costituzione è così vecchia?
È molto meno vecchia di quella americana, che ha quasi due secoli e mezzo. Il mio maestro si chiama Temistocle Martines, la cui giovinezza era coincisa con la nascita della Costituzione. Aveva un vero e proprio sentimento affettivo nei suoi confronti. La paragonava a una signora in età, alla quale qualche ruga aggiungeva fascino, anziché toglierlo. Non farei, pertanto, una questione di anzianità. Se una costituzione è viva, piuttosto, ha bisogno di andare dal dottore. È necessario, pertanto, vedere che tipi di interventi fare. Vale, però, sempre la nota massima di Aristotele: “Se una Costituzione si può migliorare, significa che si può anche peggiorare”.
Un semipresidenzialismo che richiama quello francese è qualcosa di positivo o negativo?
Non mi risulta che questo esecutivo abbia fatto dichiarazioni in tal senso. Penso, comunque, che le costituzioni siano come degli abiti che necessitano di essere cuciti in base alle taglie di chi li dovrà indossare. In Italia non si parla giapponese e quindi non abbiamo le loro leggi, così come non parliamo francese.
Quale il modello migliore?
I sistemi presidenziali sono sostanzialmente tre. Il modello americano dove c’è una separazione rigida dei poteri. Biden non può sciogliere il Congresso, né quest’ultimo può sfiduciarlo. C’è, quello francese, che a mio parere non è un semipresidenzialismo, ma un super-presidenzialismo. Basta vedere quanto accaduto con la riforma delle pensioni, dove Macron ha deciso senza Parlamento. C’è, poi, l’esperienza israeliana, dove il presidente del Consiglio viene eletto direttamente dai cittadini. Un modello che si è rivelato un disastro ed è stato bocciato da chi prima lo aveva voluto. Sento parlare, infine, di premierato che non è elezione diretta del presidente del Consiglio. Il sistema inglese è parlamentare. Al momento, purtroppo, vedo tanta confusione anche nelle cronache di chi sta raccontando queste consultazioni.
Le risulta strano che a bloccare i cambiamenti sia appunto quella sinistra che invece nel passato si è contraddistinta per essere riformista?
La prima grande riforma la tentò Berlusconi nel 2005. Paragonerei la questione riforme a quella del Ponte sullo Stretto, oggi osteggiato da quella stessa sinistra che lo aveva proposto. Il primo a parlare di semipresidenzialismo fu D’Alema quando guidava la bicamerale, provvedimento allora fatto saltare dalla destra che adesso lo sponsorizza. Le posizioni dei partiti sono volubili. Muovono da calcoli elettorali, nella maggior parte dei casi di corta gettata.
Per quanto riguarda l’autonomia, invece, che idea si è fatto?
È una parola, come il presidenzialismo. Bisogna, poi, vedere cosa ci metto dentro. L’eccesso di autonomia in un Paese diviso provoca ulteriore separazione. Ho il sospetto che quanto proposto dal ministro Calderoli possa generare questo tipo di risultato.
Oggi, intanto, esiste lo spazio per una nuova bicamerale. Quanto è importante un dialogo che vada oltre i colori e le bandiere?
Essere all’inizio della legislatura dovrebbe favorire il dialogo perché non hai un’elezione alle porte, prima della quale ciascun partito cerca di marcare la propria identità. Penso, dunque, che il dialogo tra i partiti e tra chi li rappresenta sia un aspetto importante, ma non sufficiente.
Perché?
Stiamo parlando di un Parlamento non votato da un terzo degli italiani. La stessa maggioranza di centrodestra riflette poco più del venti per cento del corpo elettorale. C’è bisogno, quindi, di trovare un metodo che possa coinvolgere davvero gli italiani in un processo che riguarda il loro futuro.
Basta il referendum che avverrà alla fine del processo…
Non credo! Il referendum, alla fine, diventa un plebiscito. Guai a dire sì o no a cinquanta nuovi articoli della Costituzione. Il metodo corretto dovrebbe passare attraverso l’elezione di un’assemblea di non parlamentari, perché altrimenti sarebbe una bicamerale, che riceve le proposte di cittadini e associazioni, articolando un testo.
Quale la priorità su cui la politica deve mettere subito mano, tra i sistemi elettorali, le Regioni e via dicendo?
Tutto si tiene. La Costituzione è come un orologio. Se tocco un ingranaggio, gli altri non funzionano più. La verità è che oggi c’è una divaricazione tra la sua versione scritta e quella materiale, ovvero quello che accade. Questa ha portato in crisi il Parlamento e il bicameralismo, ormai diventato di carta. Una Camera, infatti, decide e l’altra si limita ad approvare. Le leggi di iniziativa parlamentare, in questa legislatura, mi pare siano state una o due. È il governo a legiferare. Siamo di fronte a un presidenzialismo di fatto. Meloni ha più poteri di Biden. L’inquilino della Casa Bianca i decreti leggi non li può fare. Ecco perché il sistema va ricalibrato in un senso o nell’altro.

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