Attualità

RIGOPIANO, ALLA FINE PAGA SOLO IL SINDACO

di Ivano Tolettini -


Cinque condanne lievi, tutti gli altri assolti. Pagano i pesci piccoli, come il sindaco in qualità di responsabile della Protezione civile locale per non avere chiuso la strada che portava all’albergo dell’orrore e i due tecnici provinciali della stessa Protezione civile; scagionati gli alti papaveri come il prefetto e il presidente della Provincia. I parenti urlano disperati “vergogna”, “sono stati uccisi due volte”, guardando i volti dei loro cari stampati sulle magliette distese nell’aula di giustizia, mentre il gup Gianluca Sarandrea, alle 16.55 di ieri, non ha ancora completato la lettura del dispositivo che condanna i 5 imputati e assolve gli altri 25 dalle principali accuse di disastro colposo, omicidio colposo, falso e depistaggio per i 29 morti dell’hotel di Rigopiano del 18 gennaio 2017 distrutto dalla slavina. Sale la tensione, con i carabinieri che vigilano nella camera di consiglio del tribunale di Pescara, mentre il giudice legge l’assoluzione dell’ex prefetto Provolo e l’ex presidente della Provincia Di Marco, per i quali il Pm aveva chiesto 12 e 11 anni di reclusione. Invece, sono condannati rispettivamente a 2 anni 8 mesi di reclusione, ma per il “solo” mancato sgombero della neve, mentre è assolto dagli altri due più pesanti capi d’imputazione, il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta; ed a 3 anni e 4 mesi di reclusione l’ingegnere Paolo D’Incecco, responsabile della Protezione civile della Provincia pescarese, e il dirigente della Provincia, Mauro Di Blasio, per i quali il Pm aveva chiesto 10 anni di reclusione per la mancata chiusura della strada che portava al resort e per la mancata disponibilità del nezzo spazzaneve. Inoltre, condannati a 6 mesi di reclusione ciascuno per falso l’ex gestore dell’albergo della Gran Sasso Resorto Di Tommaso Bruno e Giuseppe Gatto, redattore della relazione tecnica di intervenire sulle tettoie e verande dell’hotel.

ACCUSA SCONFITTA

Il tribunale, dunque, disintegra l’impalcatura della Procura della Repubblica che ha sollecitato 151 anni di carcere per 25 imputati. Bisognerà leggere i motivi per comprendere il percorso logico-giuridico del gup che ha vagliato le posizioni dei 30 imputati, tra amministratori e funzionari pubblici, che sono stati processati all’udienza preliminare col rito abbreviato che garantisce in caso di condanna lo sconto di un terzo della pena. Udienza iniziata il 16 luglio 2019 e proseguita per 15 udienze. «Attenderemo i motivi per valutare il ricorso in Appello. Quello che emerge chiaramente è che è stato cancellato il disastro colposo». Lo spiega il procuratore capo della Repubblica pescarese Giuseppe Bellelli. Dal processo di primo grado escono scagionati completamente i responsabili della Prefettura e della Regione che coordinavano i soccorsi e per gli ipotizzati depistaggi.

REAZIONI PARENTI

«Questi qui hanno una discarica al posto del cuore. Speriamo nell’Appello, ma se questo è l’andazzo non spero più niente, devo solo salvaguardare la mia vita per portare avanti il nome di mia figlia». A parlare pochi istanti dopo la conclusione della lettura della sentenza, è il padre di Jessica Tinari, morta nel resort a 24 anni insieme al fidanzato Marco Tanda. «Noi pretendiamo rispetto dalle istituzioni – prosegue -, paghiamo con le nostre tasse i loro lauti stipendi e questi ci trattano in questo modo. Meglio che stia zitto, sennò non so che cosa posso dire» conclude tra le lacrime. Grida in aula Francesco D’Angelo, fratello di Gabriele, cameriere dell’hotel, rimasto ucciso nel crollo. «Sei anni buttati qua dentro. Per fare che? Quiasi tutti assolti, il fatto non sussiste. Quattro minuti di chiamata. Chi ha chiamato mio fratello? Chi l’ha chiamato?», urla addolorato ricordando le telefonate di Gabriele dirette verso la Prefettura la mattina del 18 gennaio 2017. D’Angelo, alle 11.38, dunque quasi cinque ore prima della valanga, chiamò invano il Centro coordinamento soccorsi della prefettura per chiedere di liberare la strada e consentire agli ospiti dell’albergo di lasciare la struttura. Non avvenne e ci fu la sconvolgente tragedia.

SOSPETTI E MORTE

“Ci sono tante cose in questo processo che non mi hanno convinto”, afferma l’avvocato Romolo Reboa, che assiste alcuni familiari delle vittime. Sottolinea di fatti “extra processo, fuori processo. Purtroppo i processi si fanno nei limiti del dedotto e del deducibile, ciò che avevo contestato l’ho contestato espressamente in aula, l’ho contestato varie volte, non sono nuovo a queste contestazioni. Voglio sia chiaro che chi è stato dichiarato non colpevole in questo momento è non colpevole. La legge va rispettata. Il problema era capire se i veri colpevoli stavano o meno dentro questo processo, ma questa è un’altra vicenda”. Giampaolo Matrone, superstite dell’hotel, è disperato: «Non me lo aspettavo. Oggi è morto lo Stato italiano. Questa tragedia ha colpito noi in primis, ma poi tutta l’Italia. È andata come non speravamo. La cosa più brutta è che speravamo sempre in un minimo di giustizia nei confronti di chi non c’è più e di tutti noi: non c’è stata. Questa è la cosa che fa più male. Non molliamo, continueremo. Da domani volevo ricominciare a vivere, ma purtroppo continuerò a sopravvivere». È una sentenza destinata a far discutere, anche perché o la Procura ha sbagliato obiettivo oppure il giudice ha errato la valutazione. Lo si capirà in Appello.

Torna alle notizie in home