Politica

Ripensare i rapporti tra Regioni e Stato centrale

di Redazione -


L’emergenza determinata dal coronavirus si trascina, tra le altre, due conseguenze.

Innanzitutto spedisce in soffitta, o comunque le rinvia nel tempo e a studi più approfonditi, quelle intese che anche nei mesi immediatamente precedenti l’ondata epidemica, erano state raggiunte dal Governo  con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna  in materia di maggiori competenze regionali su scuola,  fisco, commercio estero, politica industriale, per rimanere a quelle più delicate.

L’evoluzione del virus e il caos che si è verificato nella sanità, soprattutto in Lombardia, ha fatto riemergere preoccupazioni che sul momento sembrava fossero state accantonate. E’ inutile nasconderselo ma – non da oggi – è in corso un tentativo di alcune Regioni, economicamente più forti, di “forzare” La Costituzione  in chiave di maggiore autonomismo territoriale e pluralismo. Andava del resto  in questa direzione il referendum consultivo del 2017 promosso da Lombardia e Veneto e che, avendo riscosso  grande consenso tra i cittadini, aveva convinto il Governo Conte a firmare un’ipotesi di bozza d’accordo. E’ un fatto che le disfunzioni registrate in questi mesi, senza peraltro intaccare l’autonomia regionale, riportano in primo piano il ruolo dello Stato centrale che garantisce a tutti i cittadini sicurezza sia sul piano sanitario che anche su quello economico: al Nord, al Centro e al Sud. Senza le misure che l’attuale Governo ha varato, anche se con qualche iniziale ritardo dovuto principalmente alla eccezionalità dell’emergenza, la situazione di molti cittadini, soprattutto degli “ultimi”, di quelli che non hanno reddito alcuno, sarebbe molto più grave di quanto di per se già non lo sia.  E veniamo alla seconda conseguenza. Riguarda Matteo Salvini che in questi mesi ha in più occasioni “rivendicato” il suo essere lombardo. Di fatto la Lega, che nelle sue intenzioni elettorali puntava ad estendersi fino alla Sicilia, è tornata ad essere Lega Nord ed il suo segretario ad occuparsi  essenzialmente di quei territori.

Lo abbiamo visto silente di fronte alle morti del Trivulzio e di altre ASR collegate. Lo abbiamo visto difendere ad oltranza l’operato di un Governatore, Attilio Fontana, che si porta dietro inevitabilmente diverse responsabilità sulla diffusione dell’epidemia nella Regione da lui amministrata. Lo vediamo piegarsi alle pressioni dell’imprenditoria del Nord che, in barba ai pareri cauti – se non contrari – degli esperti, insiste per riprendere l’attività delle proprie aziende. Il fatto positivo è che Matteo Salvini, nel bel mezzo di una pandemia di cui ad oggi si sa molto poco, ha dismesso l’abito del politico misurato ed attento alle sorti del Paese, dell’aspirante Presidente di tutti gli italiani, e ha ripreso a vestire gli abiti che ben gli conosciamo e che gli sono più consoni: quelli di un autentico aizzapopolo.

PdA

 


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