Economia

Ripensare il sistema produttivo per creare e distribuire valore

di Redazione -


di MARCO TRAVAGLINI
È tempo di un salto di paradigma che concentri tutte le forze su quello che nessuno ha mai considerato come il “Primo Lavoratore”, l’auto-imprenditore, un soggetto che riveste un ruolo fondamentale nell’economia italiana, considerando l’ampia presenza di piccole e medie imprese nel tessuto produttivo e l’importante contributo che queste realtà offrono in termini di occupazione, meno di valore aggiunto. Per questo è importante sostenerlo nel processo di trasformazione e nel passaggio da una mentalità attendista artigiana a una modalità propositiva digitale e industriale.
Non possiamo più fare affidamento sul vecchio modello “a goccia” e neanche su quello assistenzialistico per distribuire lavoro e valore. La nostra economia ha bisogno di un approccio più innovativo e inclusivo che valorizzi l’auto-imprenditorialità e promuova la crescita professionale dei lavoratori: una rinnovata cultura e una nuova dimensione e organizzazione di impresa, oltre l’attenzione al solo prodotto, sono la chiave principale per trasformare il mondo del lavoro e il nostro Paese, anche in molti aspetti della sua socialità.
Se per 50 anni dal post guerra siamo stati abituati all’hard del prodotto e alla certezza del posto fisso, gli ultimi 30 sono stati caratterizzati da questioni meno “toccanti” come la conoscenza, il digitale e la metafisicità, le quali, insieme all’incertezza regnante, hanno reso il mondo molto complesso. E se la disintermediazione ha favorito il consumatore semplificandogli la vita, c’è un’altra vita, quella di chi inventa, produce e propone l’offerta, che è diventata sempre più difficile, perchè si trova a dover intermediare rispetto a tutti i servizi, le tecnologie e gli adempimenti prima sconosciuti che, apparentemente semplificano, ma nella realtà rendono il mondo imprenditoriale e lavorativo complesso, con enorme difficoltà nel riprogettare e riprogettarsi. Davvero pochi sono coloro che riescono a stare al passo del cambiamento progettuale continuo.
Siamo convinti che il modello fordista “a goccia” che genera lavoro al famoso indotto sia ancora valido? I margini operativi sono ormai finiti e sono stati sostituiti dai servizi e adempimenti che hanno dato luogo ad un mix letale di deprezzamento e “commodityzzazione” di tutto. Tutto ciò, in concomitanza al focus ancora solo prodotto di un mercato di imprese di micro e piccoli imprenditori rimasti al modello del ‘900, rappresenta il “cigno nero” dell’improduttività, cresciuta tra il 2000 e il 2022 del 2,8%, contro il 19% dell’Eurozona! (dati OCSE). Il modello in questione taglia fuori almeno la metà delle imprese sulle 4,5 Milioni circa esistenti. Parliamo di un mercato OFF che è diventato solo “manovale di filiere” a basso margine per un prodotto o servizio di basso valore aggiunto, oppure venditore vecchia maniera di un prodotto/servizio commodity a basso valore che opera solo in una location ristretta e provinciale, a cui servirebbe prima “interregionalizzarsi” che internazionalizzarsi.
Un mercato OFF di oltre 3 Milioni di imprese con meno di 5 dipendenti che si mischiano alle altre 6 milioni di p.iva, dando vita ad una frammentazione e sottodimensionamento epocale; a cui aggiungiamo un altro milione di imprese con 5-8 dipendenti, e circa 700 mila con 10-20 dipendenti: un mondo completamente legato ad un modello mono-personale di un Primo Lavoratore auto-imprenditore, non per ordine di importanza ma per la RESPONSABILITÀ, VISIONE e ORGANIZZAZIONE d’impresa, volontà e interesse.
Parliamo del piccolo imprenditore, colui che spesso prende lo stipendio per ultimo e meno degli altri, che esce dal suo ufficio alle 10 di sera o ci dorme, che ha bisogno di essere messo in contatto con università, professionisti seri del terziario avanzato e con tutti quelli che hanno il know how; che necessiterebbe di una mano seria da parte di corpi intermedi e mediatori politici che ancora esercitano spesso una sola (finta) rappresentanza ancorata al ‘900. Va assolutamente avviato un lavoro culturale, di connessione tra il mondo di tali imprenditori OFF con il mondo accademico, il terziario avanzato e con i colleghi del mercato ON, in un’ottica di contaminazione del sapere e di politiche di inclusione per l’innovazione al centro di ogni politica attiva del lavoro. E tutti, dai sindacati alle associazioni di categoria, dai sindaci e assessori del territorio, alle agenzie di sviluppo regionali, devono facilitare, o creare in prima persona, buone pratiche per diffondere la cultura della creazione di valore aggiunto e una metodologia innovativa d’impresa e di modello di lavoro, non solo legato al prodotto, ma che guardi al nuovo sistema organizzativo d’impresa.
Tutto ciò ai fini del miglioramento della produttività nazionale che è stagnante presso tali imprese che rappresentano circa 10 milioni di lavoratori privati (e cittadini-consumatori) sui circa 17 milioni di lavoratori (dati Inps).
Allora, in questa giornata sacrosanta per i diritti di tutti i lavoratori, facciamo una forte riflessione operativo-sociale e cerchiamo di capire che il mondo non è più legato a logiche dicotomiche tra lavoratore e imprenditore o capitale e lavoro, ma va visto in ottica di bisogno comune di favorire la crescita personale e professionale della “testa del pesciolino”, osando una politica nuova, pervasiva, capillare e distributiva di conoscenza e innovazione, al posto di quella a “goccia” o assistenziale proposte fino ad oggi.
Serve dunque scovare e far emergere, all’interno di un divario sempre più stringente tra una classe dirigente e una massa spesso non inclusa, una ceto “collante” che operi mediante una “managerialità sociale” per abilitare alla conoscenza e all’innovazione e che renda indipendenti dalla politica, dalla burocrazia, dalle caste finanziarie e industriali, milioni di soggetti auto-imprenditori capaci ancora di metterci faccia, cuore e sedere tutti i giorni: “Non regalando un pesce ma insegnando loro a pescare” (Confucio).


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