Attualità

Ripensare le città per sconfiggere degrado e violenza

Col Pnrr Napoli può essere un laboratorio se sceglie di disegnare il futuro e di non delegare la sicurezza alle ordinanze sindacali e ai piagnistei

di Giovanni Vasso -


La violenza assurda delle baby gang, il ritorno in grande stile della criminalità organizzata, l’abbandono e il degrado che si respira in troppi luoghi della città. Non basteranno le ordinanze a cambiare Napoli. E se non si agisce subito, non servirà a granché nemmeno il Pnrr a trasformare il volto della capitale del Mezzogiorno. C’è un problema serio in città che riguarda l’alto tasso di degrado, urbano e sociale, che attanaglia Napoli e il territorio circostante.
Leggere il bollettino della nuda cronaca è disarmante: un agguato a Soccavo, in cui è stato ucciso a pistolettate un 28enne, una donna investita da un malvivente in moto da cui è scaturito il pestaggio del fratello e l’accoltellamento di un turista a Forcella e poi la violenza brutale dei ragazzini, dagli accoltellamenti di Marechiaro e fino a quello di Melito dove un 13enne è stato ferito a scuola, la stessa in cui mesi fa una bambina di 11 anni era stata violentemente aggredita da una coetanea che l’aveva scambiata per un’altra ragazzina. Intanto sempre più zone del centro vengono erose dalle sacche di abbandono e degrado, creando situazioni al limite della vivibilità che penalizzano i piccoli commercianti e gli imprenditori che tentano di lavorare e di investire su Napoli. Sono sempre di più le aree della città che appaiono sporche, non curate e, fatalmente, finiscono per decadere. Alla faccia della “città turistica”.
Non solo periferie, non soltanto Scampia. Ma anche Piazza Garibaldi e corso Umberto, dove stazionano troppi clochard e troppi sbandati. Oppure la Chiaia dei baretti e Piazza Bellini, dove la movida troppo spesso finisce fuori controllo. Per restituire a Napoli il suo ruolo in Italia e nel mondo non bastano le ordinanze del sindaco di turno. Serve che sia lo Stato, e non solo il Comune, a far sentire la sua presenza. E non basterebbe limitarsi a “militarizzare” i territori, scaricando così sulle forze dell’ordine un lavoro profondo che andrebbe immaginato e portato a termine a tutti i livelli. A cominciare dalla politica, che dovrebbe trovare il coraggio di imbarcarsi in un nuovo “Risanamento” che faccia piazza pulita di ogni zona grigia, e passando per la scuola e la necessità di riannodare i fili di un dialogo serio tra territorio e impresa.
Napoli, che è già un laboratorio politico da cui si intuiscono le dinamiche nazionali (ricordate il trionfo del primo de Magistris supportato dall’ancora poco nota Casaleggio Associati nel 2009 che anticipò il fenomeno M5s?) , potrebbe cogliere l’occasione per diventare un modello nuovo su cui ricostruire le città di domani. Non è certo un problema solo napoletano, i contesti metropolitani oggi sono così: al centro ci sono i salotti buoni, le Ztl dove la vita scorre ordinando sushi e parcheggiando monopattini ma poi ci sono le periferie. C’è Secondigliano ma c’è anche Rogoredo a Milano e ci sono le borgate a Roma.
Con il Pnrr si affaccia una nuova stagione in cui lo Stato torna prim’attore economico. Sperare nel ritorno dell’assistenzialismo sarebbe una bestemmia: lo Stato ha da recuperare un ritardo di decenni giustificato dalle strategie dei tagli, indiscriminati, che poi si sono dimostrate cieche. Bisogna avere presente che futuro si vuole per Napoli e per le grandi città più in generale, togliere di mezzo gli alveari in cui crescono individui esasperati pronti a uccidere per un like sbagliato, e ricostruire le comunità. Altrimenti sarà stato tutto inutile, così come è perfettamente inutile pensare di risolvere un problema cogente ed epocale affidandosi alla burocrazia delle ordinanze sindacali.


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