Risparmiatori traditi. Il crollo della fiducia. Dalle Langhe a Bolzano
L’arresto di Massimo Diotti, 55 anni, consulente finanziario di Roddi, con villa e vigne nell’Albese, segna un nuovo capitolo della lunga storia italiana di risparmiatori traditi. Stavolta lo scenario è quello delle Langhe, cuore dell’economia vinicola e dell’export, dove il promotore, che si presentava con giacca rossa, occhiali tondi e orologio di marca, ha convinto decine di clienti che i loro soldi avrebbero fruttato rendimenti sicuri. In realtà, secondo la Procura di Asti, li spostava da un conto all’altro con il più classico degli schemi Ponzi, spendendo parte dei capitali per sé: una Harley Davidson, una BMW per la moglie, terreni a Gavi per la cantina San Matteo Vineyards, un bed & breakfast ricavato da Cascina Roma.
Le denunce e le vittime: i risparmiatori traditi
Oggi è agli arresti domiciliari, i beni sequestrati per oltre due milioni di euro, e una ventina di denunce formalizzate. Ma gli inquirenti sospettano che i truffati possano essere molti di più. “Ti faceva sentire speciale”, racconta una delle vittime. “Diceva che i tuoi soldi servivano anche ad aiutare un cliente malato. Mi vergogno di essere stata così ingenua”. Dietro i numeri, oltre 20 milioni di euro sottratti, c’è la trama sempre uguale: la fiducia. Rapporti costruiti in anni di frequentazioni, pranzi, telefonate serali. Moduli firmati senza comprenderne il contenuto. Grafici e tabelle falsificate. Spiegazioni sempre rassicuranti. Finché qualcuno non controlla l’home banking e scopre bonifici diretti a concessionarie d’auto mai frequentate.
Il precedente di Bolzano
Il copione ricorda da vicino quello emerso solo pochi mesi fa a Bolzano, con il caso di Moreno Riello, 64 anni, vicentino, private banker di Intesa Sanpaolo sospettato di aver creato un buco da decine di milioni a danno di clienti altoatesini. Anche in quel caso il profilo era lo stesso: professionista stimato, stimolava fiducia soprattutto negli anziani meno avvezzi alla tecnologia, sprovvisti di internet banking. A loro inviava rendiconti fasulli, fogli Excel con layout impeccabile, mentre dirottava fondi e operava con moduli firmati in bianco. Due storie parallele che hanno lo stesso esito: patrimoni spariti, famiglie spezzate tra vergogna e rabbia, indagini giudiziarie, banche costrette a intervenire. In comune anche i marchi coinvolti: Fideuram, banca del gruppo Intesa Sanpaolo, nel caso Diotti; Intesa Sanpaolo Private Banking, direttamente, nel caso Riello. Brand che rappresentano il gotha del risparmio gestito italiano, ora a loro volta parti lese, chiamate a risarcire i clienti.
I danni
Il danno non è solo economico, ma reputazionale. Perché a vacillare è il fondamento stesso del risparmio gestito: la fiducia tra consulente e risparmiatore. È il terreno su cui si costruisce un rapporto destinato a durare anni, e che invece può trasformarsi in un cappio. Diotti, dicono gli investigatori, non aveva neppure la raffinatezza di mascherare i suoi giri di denaro: spostava i soldi come in un gioco delle tre carte, pagava i rimborsi a qualcuno attingendo dai conti di altri. «Il Madoff delle Langhe», lo hanno soprannominato, ma con meno ingegno e più spregiudicatezza.
Conti svuotati
Gli effetti sono devastanti. Coppie di novantenni che hanno perso i risparmi di una vita. Eredi di artigiani che, al momento della successione, hanno trovato conti svuotati. Imprenditori che pensavano di aver investito in strumenti sicuri e invece hanno finanziato cantine e auto di lusso. E la banca che, dopo le prime segnalazioni, ha dovuto revocargli il mandato nella primavera scorsa. Il parallelo con Riello a Bolzano è inevitabile. Anche lì le cifre oscillano: tra le decine di milioni di euro di divari contabili e gli 1,8 milioni già certificati dalle contestazioni formali. Anche lì le perquisizioni hanno portato al sequestro di pc e documenti. Anche lì la banca ha dovuto rassicurare i clienti: saranno risarciti. Due casi in meno di un anno, in due province diverse, ma con lo stesso marchio coinvolto: Intesa Sanpaolo e la sua galassia del private banking. Due storie che interrogano sul sistema dei controlli interni, sulla capacità di intercettare in tempo comportamenti anomali, sull’eccessiva libertà operativa lasciata a consulenti dotati di grande autonomia. E soprattutto sulla fragilità dei risparmiatori.
Cosa da non fare
La lezione, amara, è la stessa: mai firmare moduli in bianco, mai accettare rendiconti diversi da quelli ufficiali della banca, mai rinunciare agli strumenti digitali. L’home banking non è solo comodità, ma presidio minimo di sicurezza. In entrambi i casi, l’assenza di monitoraggio diretto ha aperto la strada alle truffe. Nel frattempo, nelle Langhe come a Bolzano, restano le cicatrici. Famiglie che non si perdonano l’ingenuità. Comunità economiche locali che si interrogano su come abbiano potuto non accorgersi. E due banche costrette a fronteggiare il paradosso più crudele: essere contemporaneamente vittime e garanti, truffate da un dipendente infedele, ma anche obbligate a risarcire chi si è fidato per una obiettiva responsabilità. Il risparmio tradito continua a presentare il conto. E la fiducia, una volta spezzata, è la perdita più difficile da recuperare.
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