Attualità

RIVALORIZZARE LA LINGUA ITALIANA

di Redazione -


Come sta la lingua italiana? Maluccio. Anzi abbastanza male. Perché? Perché il modo di esprimerci è diventato, col tempo, sempre più essenziale e nell’essenzialità meno significativo, superficiale e soprattutto poco coinvolgente.

Si dirà che questa è la conseguenza di un tecnicismo derivante dai nuovi mezzi di comunicazione che impongono uno scritto e un parlato stringato e veloce, ricco di inglesismi che, nel loro eccesso, contribuiscono a un impoverimento della nostra lingua. 

Sicuramente questa è la causa più vera del declino dell’italiano, ma accanto a essa ce ne sono altre che ne rappresentano corollari non da poco conto.

Innanzi tutto la scuola, il luogo dove i ragazzi imparano a esprimersi, non è stata e non si dimostra in grado di arginare la dilagante emorragia che investe la nostra lingua. 

Non si cerca di far capire ai giovani che l’esprimersi in modo corretto e con senso ha una valenza determinate nella vita di ogni persona, perché è la maniera più efficace di condividere il vissuto, gli stati d’animo, i propositi, le idee, i sentimenti che l’attraversano. 

Non si fa notare loro l’importanza di una parola autentica e responsabile, la sua capacità di manifestare un’emozione, di essere d’aiuto, di tracciare un percorso di vita, di essere responsabile d’un destino e di trasmettere la meraviglia che da essa scaturisce.

Dante, Cicerone, Petrarca, Machiavelli, Virgilio, Leopardi, Seneca, Vico, D’Annunzio, Croce, Pirandello, Gentile, Pasolini, Verga, Manzoni, Bufalino, Papini, Berto, Sciascia, e si potrebbe continuare all’infinito, sono esempi di come la “nostra parola” sia capace di meravigliare, influenzare e stimolare pensiero. Sia fonte di coinvolgimento e, soprattutto, di bellezza! Quella sensazione che arricchisce l’animo, lo fa librare nella fantasia, lo invoglia alla creatività, lo avvicina al mistero della vita e lo stimola a ricercare e a riproporre bellezza. 

La scuola manca di attenzione verso la nostra lingua, verso la parola. Manca di capacità di coinvolgimento dei ragazzi sull’importanza della nostra letteratura. Non si dimostra, tranne eccezioni, in grado di sapere suscitare quell’interesse che stimola la curiosità, la ricerca, il dubbio, il pensiero. E col pensiero, l’elaborazione critica, equilibrata e coerente, viatico per un percorso e un sentimento di libertà.

Non dobbiamo meravigliarci se poi questi ragazzi diventeranno dei professionisti, degli insegnanti incapaci di scrivere in un italiano corretto, facendo degli errori che una volta neppure chi avesse frequentato solo la quinta elementare si sarebbe mai sognato di fare.

Nei Paesi europei, dove l’innamoramento per le tecnologie a scuola è arrivato prima che da noi, si sta rivalutando sia la scrittura a mano, sia lo studio sui libri, soprattutto come antidoto alle dipendenze da schermo e da social sviluppate in modo grave dalle nuove generazioni. Qualcosa che faremmo bene ad adottare, prima che sia troppo tardi. 

Anche i mezzi di comunicazione si dimostrano estranei all’amore per l’italiano. Lo mescolano con odiosi e non indispensabili inglesismi, spesso incomprensibili per molti, e con pessimi neologismi che trasudano un inutile tecnicismo.

Basta sfogliare un giornale, o vedere un telegiornale o un avvenimento sportivo per sentire come coloro che dovrebbero essere responsabili e in grado di far conoscere e apprendere le notizie, facciano di tutto per renderle incomprensibili, sentendosi vieppiù fieri per un lessico indegno di meriti, perché inefficace.

Per non parlare poi della comunicazione che regna nel mondo del lavoro. Quella che dovrebbe fungere da collante per le relazioni tra le persone e tra le persone e l’azienda è spesso rilegata a un ruolo marginale. Non le si attribuisce la capacità di essere l’elemento che l’azienda fa, che le dà la possibilità di crescere in termini di qualità. Perché in grado di offrire alle persone che vi lavorano l’occasione di evolversi umanamente e tecnicamente, contribuendo al buon andamento del vissuto lavorativo e del prodotto aziendale. 

Le aziende sembrano rifuggire da una parola e da una comunicazione autentiche, responsabili e coinvolgenti. Sembrano averne timore. Ma è frutto di una mancanza di sensibilità e di cultura da parte di chi le guida. Perché solo chi ha sensibilità e cultura, e quindi senso d’umanità, è in grado di favorire e alimentare un dialogo con l’altro che si basi sul rispetto, sulla voglia di conoscenza, sul desiderio di essere veri, leali, coinvolgenti, mutuali e altruisti. Capaci di dar vita a una “cittadella del lavoro” dove la persona e al centro di tutto e la lingua italiana, e quindi la parola di senso, siano il nutrimento quotidiano attraverso cui improntare relazioni e vissuto di qualità.

Non ultima a essere responsabile del depauperamento della nostra lingua è la politica, che sembra completamente assente di fronte al problema.

Non si elaborano piani educativi per la scuola in grado di non imbarbarire l’italiano, di non depotenziarlo della sua bellezza, restituendogli il ruolo di elemento di identità e di coesione nazionale.

Perché la lingua di un popolo appartiene alla sua storia, alla sua cultura, alle sue radici. Di una Nazione ne è pilastro, essenza, è la sua caratteristica, la sua voce. E la nostra è anche motivo d’orgoglio per il grande, immenso patrimonio culturale che da essa ne è scaturito, capace di influenzare e far innamorare persone di tutti i tempi e d’ogni luogo. 

Tanto è vero che l’italiano è, da sempre, una delle lingue più amate all’estero. 

Malgrado ciò però, la politica fa finta di non vedere e non s’interessa di potenziare gli investimenti per lo studio dell’italiano negli altri Stati, viatico per incrementare settori come il turismo, l’arte e le bellezze storico-naturali del nostro Paese. Comparti, che se avessero politiche accorte e di visione potrebbero far decollare lavoro, soprattutto giovanile, e pil.  E’ così importante la lingua per i riflessi che ha sul suo popolo e sulla vita di questi, che occorre far sì che chi arrivi da noi da altri Paesi per stabilirvisi, possa impararla bene, e attraverso essa, conoscere e rispettare la nostra storia, la nostra cultura, i nostri usi, i nostri principi e valori. 

Un modo per sentirsi e farsi riconoscere come efficacemente integrati, condividendo quel senso di appartenenza che è la base per una Comunità che aspiri al progresso e più ancora al mantenimento e al rafforzamento del senso di civiltà. 

 

Romolo Paradiso


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