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Robert Redford in “Tutti gli uomini del presidente”: l’interpretazione passata alla storia

di Redazione -


Robert Redford, come la gran parte dei grandi attori americani non ha solo origini statunitensi, figlio di una madre di origini texane e di un padre di origine irlandesi. Era un volto unico spigoloso ma allo stesso tempo profondo che ha illuminato il grande schermo grazie ad un inizio di carriera folgorante. Le sue prime apparizioni avvengono in televisione tra la metà degli anni 50 e l’inizio degli anni 60 grazie ad alcuni show televisivi, tra cui la famosissima serie “Alfred Hitchcock presenta”.

Il debutto cinematografico e la carriera inarrestabile

Il debutto cinematografico arriverà nel 1962 al fianco del suo caro e fidato amico Sydney Pollack, con cui fonderà nel 1981 un importante istituto cinematografico, il Sundance Institute, nello Utah. Il nome proviene dal suo personaggio “Sundance Kid”, protagonista insieme a Paul Newman in una pellicola divenuta culto della nuova Hollywood, “Butch Cassidy”, diretta dal maestro Arthur Penn. Siamo alla fine degli anni 60: il codice Hays, ovvero il codice di censura dei film, viene sostituito nel 1968 e nello stesso anno esce il film “Gangster Story” del regista che ha lanciato la carriera di Redford, Arthur Penn, film che ha finalmente mostrato sul grande schermo la prima morte brutale grazie a una mitragliata di colpi, scena che poi verrà ripresa magistralmente da Francis Ford Coppola nella sequenza di Sonny al casello stradale. Tutto sta cambiando e al posto della floreale speranza hippies degli anni 60 sta nascendo un sentimento di disillusione più cinico, ma molto consapevole. Nella decade degli anni Settanta Robert Redford mette in fila una serie di successi uno più bello dell’altro: “Corvo rosso non avrai il mio scalpo!” del 1972 e “Come eravamo” del 1973 entrambi diretti dal suo amico Sydney Pollack, “La stangata” del 1973 dove ritorna la coppia di successo Newman-Redford, “I tre giorni del condor” del 1975 diretto sempre da Sydney Pollack e il capolavoro di Alan J. Pakula del 1976 “Tutti gli uomini del presidente”. Ho citato solo alcune delle pellicole più celebri dato il grande numero di film fatti da Redford in quella decade, ma su uno in particolare vorrei soffermarmi per elogiare e omaggiare le grandi qualità attoriali di questo genio cinematografico “Tutti gli uomini del presidente”. Si sa che purtroppo alcuni attori sono considerati delle prime donne che vogliono brillare in solitaria, senza lasciare neanche le briciole agli attori secondari a rischio anche di compromettere il film stesso. Robert Redford non è mai stato uno di questi, infatti, nel film “Tutti gli uomini del presidente” la coppia che forma con Dustin Hoffman è semplicemente sublime tanto che nessuno va sopra l’altro, neanche un attore estroso e poliedrico come Hoffman. Questa coppia di giornalisti ha un obbiettivo, fare chiarezza sul caso Watergate, Redford rappresenta lo stereotipo del giornalista al quale qualsiasi redazione si affiderebbe a occhi chiusi, mentre Dustin Hoffman è quel giornalista scomodo per tutti. La sintonia tra i due si affinerà in maniera crescente grazie ai forti dubbi e ai momenti di scoraggiamento che vivranno: saranno messi da parte dalla loro stessa redazione, saranno spiati da chi ha capito che il loro non è un semplice capriccio giornalistico ma che alla fine li renderà forti e determinati nello sviluppo della loro inchiesta. In conclusione, Redford ha sempre saputo cosa fosse il cinema, una comunione di intenti dove anche due star devono essere disposte a mettersi da parte per un bene comune, il film. Considerato da sempre non al livello dei grandi attori con i quali a lavorato, Brando, Newman, Hoffman e Max Von Sydow per citarne alcuni, forse per un pregiudizio nei confronti della sua bellezza ma che, per quanto mi riguarda, non è stata altro che un valore aggiunto ad un grandissimo attore e uomo di cinema. 

di AMARCORD


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