Russia e Israele: quando all’azione non corrisponde uguale reazione
Due casi simili, due risposte opposte: quando in guerra condanne e sanzioni non funzionano allo stesso modo
Secondo il terzo principio della Dinamica, “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Ora, avendo in mente questo pilastro, dobbiamo provare a traslarlo su quello che accade in Ucraina e a Gaza, per capire che la risposta della società civile alla guerra non è stata (e non è) questione di fisica. Dal febbraio 2022, momento dell’invasione della Russia in territorio ucraino, la condanna all’azione di Putin e all’inizio della guerra è stata unanime.
L’Occidente è stato rapido e unito in una reazione che – oltre alle sanzioni e ai risvolti diplomatici – ha portato a fare tabula rasa attorno alla Federazione Russa e ai suoi rappresentanti. E non parliamo solamente di sdegno e bandiere dell’Ucraina nei profili social di tutta Europa, ma anche di vero e proprio blocco totale di qualsiasi cosa fosse riconducibile al Paese invasore. La Russia è stata bandita da tutte le partite e i tornei nazionali e continentali gestiti da UEFA e FIFA. Non ha partecipato, come Nazione, alle Olimpiadi 2024. E tutti gli atleti russi ammessi alle competizioni internazionali gareggiano tutt’ora senza bandiera. Una voce unanime, quella dell’universo sport, unita alla condanna arrivata dal mondo dello spettacolo, dove è andato in scena un boicottaggio. Accademici e artisti provenienti dai più svariati ambiti – teatro, cinema, musica – sono stati esclusi da ogni evento, attuando una vera e propria sospensione culturale della Russia in tutto il mondo. Esclusione arrivata anche dall’Eurovision (la kermesse musicale che vede la partecipazione di tutti i Paesi europei), con il plauso di opinione pubblica (social) e addetti ai lavori.
Al di là del giudizio sul merito, ciò che colpisce ad oggi è la disparità di trattamento con Israele: non solo invasore del territorio palestinese, ma anche mandante di attacchi in altri sei Stati sovrani. Due casi simili, due risposte opposte: Israele, come squadre e come singoli, partecipa senza alcun tipo di restrizione a tutte le competizioni sportive globali. Film, produzioni, rappresentazioni artistiche, concerti, festival annoverano ospiti israeliani. Nessuna restrizione, nessun blocco, anzi, una sorta di mani in alto di fronte al minimo cenno di protesta. C’è sempre il rischio che una critica – di rilievo politico o morale – possa trasformarsi in accusa di antisemitismo.
Succede a cadenza giornaliera sui canali e profili di chi osa denunciare. Succede quando è lo stesso Paese a investire sulle piattaforme (web e social) per “comprare” gli utenti spostando il sentiment nell’angolo più recondito delle fake news. Non è passata inosservata la spesa complessiva di 167 milioni di shekel (40 milioni di euro) del governo di Tel Aviv per campagne di comunicazione online. E così si fa credere ciò che non è: che a Gaza non si muoia di fame – perché aprono presunti Nutella Cafè -, che gli aiuti passino il confine senza sforzo – documentati da finti influencer con l’elmetto – e che la vita sotto le bombe non sia poi così male. E in Ucraina? Beh, nulla di tutto questo. C’è la guerra. E in Russia la condanna e le sanzioni. A Gaza c’è la guerra, in Israele a soffrire rimangono solo le famiglie degli ostaggi, abbandonati da Netanyahu. Si scrive doppio standard e si legge ipocrisia.
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