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Russofobia, dal tennis alla musica fino alle vignette: ora c’è chi dice no

di Ilaria Paoletti -

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Il ministro degli Esteri lettone ha notificato all’ambasciata russa la risoluzione dell’accordo bilaterale su memoriali e monumenti; la scorsa settimana, invece, il parlamento ha approvato un disegno di legge sulla cessazione delle responsabilità di cura delle strutture commemorative della Seconda Guerra Mondiale e dei luoghi di sepoltura. Ciò fornisce basi legali per la demolizione del monumento ai soldati sovietici a Riga. A Vilnius, nel frattempo, il governo ha deciso di smantellare la stele di granito raffigurante soldati russi, posta dove giacciono i resti di tremila fanti dell’Armata Rossa morti durante la liberazione della città dai nazisti. E questi sono solo gli ultimi due capitoli della caccia alle streghe “russe” che ha visto, solo qui da noi in Italia, censure (poi rientrate) di corsi universitari su Dostoevskij, direttori d’orchestra banditi dai teatri da sindaci dem perché non hanno “abiurato” Putin, vodka ritirata dai distributori, atleti disabili espulsi dalle competizioni e così via. Questa censura in odor di russofobia ha trovato di certo gioco facile nelle nostre menti. Dopo due anni di pandemia il linguaggio si è armato: tutti hanno assistito per mesi a uomini in divisa che parlavano di prendere i “no vax” casa per casa e oggi ci ritroviamo effettivamente una guerra alle porte dell’Europa. Adesso, però, qualcuno inizia a dare segni di ravvedimento. Ad esempio, a dichiarare che l’esclusione dei tennisti russi da Wimbledon sia sbagliata e che crei un precedente pericoloso è stato nientemeno che Thomas Bach, il presidente del Comitato olimpico. Bach ha deciso di parlare proprio ora perché dal 27 giugno al 10 luglio il pubblico sarà costretto ad assistere ad una versione “storpia” del più importante torneo al mondo. Il numero uno del ranking Danil Medvedev (e i suoi connazionali Rublev e Khachanov) non parteciperanno; l’Atp, invece, ha deciso di neutralizzare i punti assegnati dall’evento, e ciò significa che, a partire da Nadal, altri big potrebbero snobbare l’evento. In pratica, per Djokovic non vi saranno avversari. E tutta la colpa, ora, ricade sulle spalle dell’All England Club (ente che organizza l’evento) che ha deciso di bandire tutti i tennisti russi e bielorussi su spinta del governo britannico. “Guardate i nostri amici del tennis: a Parigi, i russi possono giocare come atleti neutrali, a Londra no perché il governo non vuole: se permettiamo questo, siamo perduti. Come possiamo garantire la regolarità di una competizione internazionale, se i governi possono decidere in base ai loro interessi politici chi può partecipare e chi no?”, ha commentato Bach in occasione dell’assemblea delle Federazioni degli sport olimpici estivi a Losanna. “Chiunque supporta la guerra, deve essere sanzionato. Ma i diritti di chi non lo fa devono essere rispettati, nessuno può essere punito per il suo passaporto”. Dietro front, quindi, del Cio che inizialmente invece sembrava invece a favore dell’esclusione, considerata la direttiva emanata proprio dall’organizzazione lo scorso 28 febbraio. Tale nota raccomandava a tutte le Federazioni e organizzatori di eventi sportivi internazionali di “non invitare o consentire la partecipazione di squadre o atleti russi”. Ma questo sembrava essere più che altro un bando nei confronti delle nazionali, e non verso gli atleti individuali, che hanno invece facoltà di gareggiare in modo neutrale. Tutto è ancora in divenire, ma certo è che questo importante distinguo abbia creato i prodromi di una discussione, almeno all’interno del mondo dello sport. E alla luce di ciò, la decisione di Giovanni Malagò, numero uno del Coni, di lasciar giocare i russi al Foro Italico per gli Internazionali di Roma svolti il mese scorso si è rivelata quantomeno lungimirante e illuminata. D’altronde, a schierarsi contro questa iniqua decisione vi furono nientemeno che Nadal e Adriano Panatta, che non esitò a definirla “una forma di razzismo”. E non è nemmeno l’unico esempio virtuoso espresso qui da noi. A Gorizia, infatti, tre giovani violiniste russe sono state escluse dal concorso internazionale di violino della Scuola di musica Rodolfo Lipizer. Caso che ricorda pericolosamente da vicino quello di Valery Gergiev, direttore d’orchestra “reo” di non aver preso le distanze da Putin dopo lo scoppio della guerra, e che perciò era stato allontanato dal Teatro alla Scala di Milano. A denunciare la vicenda sui social è stata una delle ragazze, Lidia Kocharyan che, assieme a due colleghe avrebbe dovuto partecipare alla 41esima edizione del concorso in programma per settembre 2022. Lidia è stata esclusa con un comunicato ufficiale firmato dal presidente dell’associazione Lorenzo Qualli. Nel documento si legge che la sua espulsione è stata decisa “in seguito alle disposizioni europee derivanti dalla guerra Russia-Ucraina e seguendo l’esempio di altri concorsi di varie discipline”. “Fantastico! Sono stata informata della mia esclusione: ‘Nessuna discriminazione’ assolutamente…”, commenta la musicista sui social, condividendo la lettera. “Confidiamo che le controversie di guerra vengano risolte positivamente il prima possibile e la pace sia ristabilita. Quando succederà saremo felici di averla nuovamente tra i concorrenti”, si legge ancora nel documento. Dopo il post della violinista, che ha incassato la solidarietà di amici e di semplici cittadini, l’associazione Lipizern è tornata sui suoi passi e offre alle tre musiciste la possibilità di riammissione al concorso. Un dietro front “obbligato” ma concreto. A gamba tesa nel dibattito (sicuramente in modo assai più leggero), entra il giornale satirico il Vernacoliere che ha “osato” dileggiare le badanti ucraine. “Impone le mani sur un vecchio e ni fa rizzà l’uccello”, si legge nella vignetta. Immediatamente è insorta la comunità ucraina: secondo quanto riporta il Tirreno, un gruppo di colf che lavora a Livorno ha promosso una raccolta firme affinché questo disegno venga ritirato. “Non ci sembra giusto subire una satira offensiva e lesiva della nostra dignità”, dichiarano. “Lavoriamo, siamo oneste, abbiamo delle responsabilità e poi veniamo offese così”, aggiunge una delle ideatrici dell’iniziativa, Alina Ivanova. “In oltre 20 anni a Livorno non mi sono mai sentita così umiliata”, aggiunge. Ma il direttore della pubblicazione Mario Cardinali non intende assecondare questa richiesta: “Non fossero stati invasi dai russi, gli ucraini sarebbero rimasti per noi un popolo perlopiù di badanti. Ora non più. Da vittime dell’imperialismo russo e da quando la loro resistenza agli invasori putiniani li ha trasformati in ‘eroi’, su quel popolo si è riversata un’attenzione mediatica martellante, intesa anche a una certa sacralizzazione di quel popolo fino a far immaginare alla satira del Vernacoliere, dissacrante com’è la decostruzione satirica, la possibilità per quel popolo anche di far miracoli, come appunto fa la badante”. “Solo un po’ di satira e di umorismo, in un vernacolo già di per sé irrispettoso delle convenienze e del politically correct”, ribadisce Cardinali. E magari è proprio con una risata che si riporterà un po’ di equità in questa situazione illogica.

Ilaria Paoletti


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