Attualità

Salta l’orale alla maturità e viene promosso: il caso Gianmaria divide la scuola

"Non sosterrò l'orale. Non condivido questo sistema" ha detto il 19enne che ha creato un precedente

di Ivano Tolettini -


Un gesto semplice e radicale di per sé storico, che fa discutere il mondo della scuola e della politica: il caso è quello dello studente Gianmaria Favaretto, 19 anni, del liceo scientifico Enrico Fermi di Padova, che davanti alla commissione della maturità ha dichiarato: “Non sosterrò l’orale. Non condivido questo sistema”. Si è seduto, ha rifiutato il colloquio finale e si è alzato. Comunque è stato promosso.

Tutto regolare. È bastata la somma dei 31 crediti scolastici e dei voti nelle due prove scritte, per un totale di 62 punti su 100. La legge lo consente. Ma l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori si dividono. Quel gesto diventato rumoroso che nella forma è parso anodino, ha sollevato un’onda di reazioni. Per alcuni è un campanello d’allarme, per altri un segno di consapevolezza. Ma nessuno sembra poterne ignorare il significato. Nella crepa normativa si è infilata una protesta consapevole.

Favaretto non ha agito per distrazione o paura. Lo ha fatto con intenzione. “Trovo che il sistema di valutazione sia inadeguato – ha spiegato – non valorizza le capacità reali, ma impone un modello competitivo che disumanizza. In classe si finisce per trasformare il voto in identità, in stigma“. Parole nette, che vanno oltre il singolo caso. Né i docenti né la presidente della commissione hanno potuto opporsi.

L’esame si è considerato comunque concluso, il diploma è stato rilasciato. “Era tutto in regola”, ha confermato la dirigente scolastica del Fermi, Tiziana Peruzzo. Che difende il suo studente: “Non è stata una sceneggiata. Gianmaria alla maturità ha compiuto una scelta ponderata, coerente con il suo percorso. Ha voluto lanciare un messaggio”. Le reazioni sono tra il rigore e l’ascolto. Ma se la scuola ha cercato il dialogo, altrove sono emerse tensioni. Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, è stato tra i più duri: “Non è accettabile che si possa essere promossi senza aver sostenuto tutte le prove. Così si apre la porta a derive emulative, a un’idea parziale di maturità. Serve un intervento normativo per ripristinare un principio di coerenza”.

Più articolata la posizione della professoressa Paola Bortoletto, dirigente dell’associazione Andis: “Capisco il disagio che Gianmaria ha voluto denunciare, ma l’orale è parte integrante dell’esame. Saltarlo mette in discussione il valore della prova nel suo insieme”. Da parte sua Ivana Barbacci, segretaria della Cisl Scuola, ha espresso un timore simile: “È legittimo interrogarsi sul sistema di valutazione. Ma senza una cornice chiara, si rischia di introdurre elementi soggettivi nei criteri. Il rischio è l’arbitrio”. Per contro Aldo Domenico Ficara, docente e opinionista, ha scritto una lettera aperta al ministro Giuseppe Valditara: “Rendiamo l’orale nuovamente indispensabile. Non si può accettare che l’esame venga superato per automatismi formali“.

Il caso di Gianmaria Favaretto: cambiare la maturità?

Non c’è dubbio che quella che emerge in queste ore è una frattura tra due idee di scuola. Il caso Favaretto non è un incidente isolato. È piuttosto la fotografia di una tensione crescente tra due visioni dell’istruzione. Da un lato, quella della “prestazione completa”, dove ogni prova ha valore strutturale e simbolico. Chi salta una parte dell’esame mina l’equilibrio della valutazione. Dall’altro, l’idea di una scuola più flessibile, capace di riconoscere i meriti maturati lungo il percorso, anche a fronte di un gesto critico o di disobbedienza consapevole.

Ecco perché il gesto di Gianmaria potrebbe essere letto come un atto politico. Ma ciò che lo rende difficile da archiviare è che ha sollevato un nodo culturale. La scuola deve valutare o formare? Deve selezionare o accompagnare? E l’esame di Stato, è ancora davvero lo specchio della maturità di uno studente? Ecco perché ci si interroga tra disagio giovanile e rituali scolastici. Favaretto ha parlato apertamente di “sistema sbagliato”, di “meccanismi che non riconoscono il valore delle persone”. Ha raccontato che nella sua classe “c’era molta ansia da prestazione, i voti erano tutto. Chi non reggeva il ritmo si sentiva escluso”. Ed ha aggiunto: “Il mio gesto non vuole essere una fuga. Ma un invito alla riflessione”.

Molti studenti sui social hanno espresso solidarietà. Altri, più critici, temono che si sia trattato solo di una furbizia mascherata. Ma dietro alla scelta c’è una questione più ampia: il malessere di una generazione che chiede di essere ascoltata, non solo valutata. Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, è chiamato a decidere. Ora la palla passa alla politica. Il ministro Valditara, fino ad ora silente, dovrà sciogliere il nodo: confermare la possibilità di diplomarsi senza orale, oppure introdurre un correttivo normativo che lo renda di nuovo obbligatorio. Non sarà una scelta neutra. Tocca il senso stesso della scuola pubblica: è un percorso da completare fino in fondo o anche un terreno di legittima contestazione? Dunque, che si tratti di una sfida aperta non c’è dubbio. Nel frattempo Gianmaria ha ottenuto il diploma di maturità e andrà avanti per la sua strada. Com’è giusto che sia, visto che le regole sono state rispettate. Ma quel posto lasciato vuoto davanti alla commissione d’esame è diventato un simbolo. Di una crepa. Di un limite. O di una possibilità. Per ora resta una domanda aperta: l’esame di maturità è ancora uno strumento di crescita e verifica? O è diventato solo un rito che aspetta di essere di nuovo riformato?


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