Salute

SALVATE IL SOLDATO CAMICE

di Eleonora Ciaffoloni -


Da Paola Labriola a Barbara Capovani. Dopo dieci anni dall’aggressione che ha portato alla morte della psichiatra di Bari, da ieri – quando è terminata la procedura di accertamento della morte con criteri neurologici – si piange anche la scomparsa della collega di Pisa, aggredita e uccisa da un ex paziente lo scorso venerdì. L’aggressore, un 35enne già noto alle forze dell’ordine per denunce e per un’altra aggressione al tribunale di Lucca, conosceva la donna e dalle ultime ricostruzioni sembrava conoscere bene anche la struttura dove è avvenuta la violenza. L’uomo, fermato ieri notte dalla polizia, ha atteso per oltre un’ora l’uscita della psichiatra che, una volta fuori dall’ospedale, è stata colpita ripetutamente con una spranga e lasciata in una pozza di sangue e in fin di vita sul luogo della violenza. Si tratta del più recente caso di una lunghissima sequenza di episodi violenti ai danni di medici e del personale medico, che vanno dalle minacce a lesioni più o meno gravi. A dare un quadro chiaro della realtà italiana sono i dati dell’Inail che prendendo in considerazioni tutte le strutture – dagli ambulatori di psichiatria fino alle guardie notturne e pronto soccorso – stimano nel nostro Paese circa 1600 aggressioni l’anno, con una media di oltre quattro episodi violenti al giorno. Un fenomeno in crescita per cui nel 2020 era nato un Osservatorio dedicato al tema ed era stata approvata una legge che prevedeva un aumento delle sanzioni penali in casi di violenza. Eppure, per chi tutti i giorni lavora e vive la violenza, i casi come quello della dottoressa Capovani sono solo la punta dell’iceberg: si tratta di casi eclatanti che rimbalzano nei notiziari e indignano l’opinione pubblica, ma che non raccontano ciò che tutti i giorni viene subito dai professionisti nelle strutture.

 

UN ALLARME INASCOLTATO

 

“Quanto tempo ancora ci vorrà per far capire a tutti che il medico è un alleato e non un nemico del paziente?”. Così il presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze, Pietro Dattolo, esprime vicinanza per la morte della collega di Pisa. “Poco più di un mese fa avevamo rilanciato l’allarme sulle aggressioni ai colleghi in occasione della Giornata nazionale contro la violenza nei confronti degli operatori nazionali”. Parole portate via dal vento, spiega il presidente con troppi allarmi rimasti “inascoltati”. E così l’ordine dei medici di Firenze, insieme ad altri chiede di attuare iniziative concrete per permettere al personale sanitario di lavorare in sicurezza, ma soprattutto chiede di fare un “lavoro culturale”di sensibilizzazione, per “far capire ai pazienti che siamo dalla loro parte, non contro”. A intervenire in difesa della categoria e di tutti i professionisti è anche il presidente della federazione nazionale dell’Ordine dei Medici Filippo Anelli: “La violenza è sempre una sconfitta, non solo per chi la subisce ma per l’intera società”. Una morte che è avvenuta nonostante siano stati fatti passi avanti. Anelli ricorda come dalla morte di Paola Labriola è nato un movimento che ha portato a una serie di risultati, eppure non sufficienti perché “Siamo qui a piangere un’altra collega”. E non solo: secondo i dati dell’Ordine dei medici, il 55% dei professionisti riferisce di aver subito violenza e il 48% pensa sia normale. Questo perché persistono problemi di carattere culturale e organizzativo: primo tra tutti, dice “non abbiamo il tempo per parlare con i malati. La legge del 2017 che indica la comunicazione come tempo di cura non è realizzabile, per la carenza di personale, per il numero esiguo delle figure professionali”.

UN’EMERGENZA NAZIONALE

“C’è la necessità di fare una riforma”. Così ribadisce Filippo Anelli e così chiede anche la Società italiana di psichiatria (Sip) per voce delle presidenti Emi Bondi e Liliana Dell’Osso. Perché la violenza contro gli operatori sanitari è una vera e propria emergenza nazionale. E così la Sip dopo le parole di commemorazione del ministro della Salute Schillaci chiede “un incontro urgente” al dicastero perché “gli intenti comuni non si esauriscano nella commemorazione del fatto di cronaca lasciandoci inermi di fronte al dolore e per iniziare una collaborazione proficua”. Ed è così che il ministro Schillaci ha convocato una riunione sulla riforma della psichiatria, in programma domani, 26 aprile. “Nel corso di questi ultimi mesi abbiamo già iniziato ad affrontare il tema della salute mentale e della riforma delle procedure per l’assistenza nelle strutture residenziali psichiatriche. Dobbiamo fare in modo che quanto accaduto a Barbara Capovani non si ripeta” ha dichiarato il ministro. Perché il caso Capovani riapre il dibattito sulla legge 180, o meglio nota Legge Basaglia. A spiegarlo è la Società italiana di psichiatria che di fronte alla crescita esponenziale di bisogno di salute mentale ha stato registrato un “progressivo e silenzioso smantellamento di quell’organizzazione, pur imperfetta, che è nata nei due decenni che hanno seguito l’applicazione della legge 180”. E cioè una perdita importante di risorse umane a cui si affianca il mancato ricambio con le nuove leve, con un conseguente impoverimento dei servizi pubblici che “riduce la capacità di risposta dei dipartimenti di Salute mentale, già in seria difficoltà”. Insomma, a decenni in cui si è arrivati a maggiore consapevolezza della salute mentale non si è affiancata una crescita del settore, che si ritrova sempre più carico di richieste di aiuto e di nuovi bisogni emergenti. Una riforma è necessaria non solo per evitare che i casi di violenza non si ripetano, ma anche per garantire a pazienti e professionisti un servizio degno di questo nome.


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