Politica

PRIMA PAGINA – Salvini, la Lega e la caccia ai moderati del Nord Est

di Domenico Pecile -


Il risiko politico che si sta giocando nel centro destra in vista delle europee è una partita ancora tutta da decifrare. Le incomprensioni, le tensioni, i frequenti distinguo, ma anche gli scontri abbastanza frequenti tra Meloni e Salvini fino ad ora sono stati interpretati come una normale, fisiologica competizione con l’obiettivo di sottrarre elettori all’alleato di governo. Da qui, ad esempio il raduno di Firenze organizzato da Salvini che aveva chiamato a raccolta i principali leader della destra europea, quella più anti-Ue, quella più anti-sistema.
Un percorso che pare antitetico a quella intrapreso da Meloni. Il premier, interpretando al meglio il suo ruolo istituzionale sia a livello nazionale sia internazionale, ha infatti portato Fratelli d’Italia ad avere una crescente attenzione nei confronti di politiche più moderate, più concilianti. Adesso, la questione del terzo mandato è destinata a mutare tattiche e strategie dei due principali partiti al governo. La questione del terzo mandato è diventata infatti dirimente rispetto alla ridefinizione degli equilibri tra le varie forze della maggioranza. Al punto che lo stesso Salvini è costretto a guardare con maggiore attenzione a quell’elettorato moderato che finora aveva snobbato. Due calcoli alla mano sono sufficienti di quanto contino le forze moderate. Sommando le attuali intenzioni di voto di Forza Italia, Azione, Italia viva, Noi moderati, +Europa si può arrivare a una soglia che si aggira attorno al 18%. Ma tra i moderati va annoverata anche una consistente fetta del Pd, ma anche delle forze produttive leghiste del Nord.
Insomma, anche Salvini è costretto a fare buon viso a cattivo gioco. Ecco come. Sul terzo mandato per governatori e città con oltre 15 mila abitanti la differenza nel centro destra rimane evidente: da un lato ci sono FdI, FI e Noi moderati contrari a questa riforme e dall’altra la Lega. Il vessillifero della richiesta leghista è il presidente della regione veneta, Luca Zaia, che ha un seguito politico di dimensioni bulgare. Ieri, in un’intervista Zaia ha ribadito che “io penso che la politica, nel momento in cui fa quelli che il popolo non vuole si scolla dal popolo, e il popolo se ne ricorda. Perché non il terzo e non il quarto e il quinto mandato”. Parole cui hanno fatto eco quelle di Salvini: “Se uno si trova il sindaco bravo, il governatore bravo, per me sarebbe utile che potesse rivotarselo due, tre, quattro, cinque, diciotto volte”. Salvini blinda dunque Zaia (ma della partita entrano a pieno titolo anche i governatori della Lombardia e del Fvg, Fontana e Fedriga) che rappresenta la linea del Piave leghista e la risposta a Meloni che vorrebbe una rivisitazione dei presidenti delle Regioni del centro destra.
Epperò, quello Zaia è anche il simbolo della Lega delle origini, quella più moderata, quella più di governo che di lotta, quella che storce il naso (come ha fatto anche di recente Bossi) alla svolta di destra impressa da Salvini. Costretto dunque a spostare una maggiore attenzione verso i moderati. L’ingorgo politico al centro è tutt’altro che un’ipotesi remota e non più retaggio soltanto di chi da tempo fa voto di appartenere e difendere quell’area politica.
Nel centro destra si muove moltissimo in quest’ottica anche il nuovo leader azzurro, il vice premier e ministro Antonio Tajani. “Non cerchiamo consensi tra le fila degli alleati” bensì “nel mondo civico del grande partito dell’astensione”. Tajani scommette sui civici per allargare la casa dei moderati e recuperare consensi per raggiungere il 10% alle elezioni europee. Liste aperte, quindi, a nomi esterni con cui stringere accordi, purché tutti si riconoscano nel popolarismo europeo. Una conditio sine qua, quella di Tajani, per circoscrivere il campo delle possibili, future alleanze. E per mandare anche a dire a Salvini che FI non farà mai accordi né con la Le Pen, né con l’Afd tedesco


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