Cronaca

“Sangare premeditò il delitto di Sharon e fa uso di droghe”

di Ivano Tolettini -


Moussa Sangare premedita l’uccisione di Sharon Verzeni, come vittima scelta a caso, per sfogare le sue frustrazioni. Il 29enne ex rapper (nella foto), che da cinque anni faceva uso di droghe, in particolare sintetiche, che avevano alterato completamento la sua percezione della realtà, ieri per quasi due ore è stato interrogato in tribunale. Il ragazzo come spiegano la madre e la sorella era da tempo “fuori di testa”, tanto che loro stesse lo avevano segnalato tre volte alle autorità per il suo comportamento illegale. La sorella Awa ha raccontato che chi di dovere se avesse dato seguito alle sue denunce, Sharon sarebbe ancora viva, perché avrebbe sottoposto il fratello alle misure necessarie per disintossicarlo e renderlo inoffensivo. Ieri, inoltre, com’era scontato la gip Raffaella Mascarino di Bergamo ha convalidato il fermo del giovane lombardo di origine africana, che nella notte tra il 29 e 30 luglio scorsi ha assassinato con una serie di coltellate la barista di 33 anni che era uscita di casa per una passeggiata tonificante. Con la convalida è arrivata anche la firma della custodia cautelare in carcere perché c’è un obiettivo pericolo di reiterazione del reato, viste le modalità casuali con le quali l’assassino ha colpito Sharon, oltre a una intrinseca pericolosità sociale determinata anche dal suo stato di tossicodipendenza che gli impedisce di avere freni inibitori. Se al giudice l’indagato, come riferisce il suo avvocato Maj, ha riferito che “non era uscito di casa con l’obbiettivo di uccidere qualcuno”, è altrettanto evidente che il possesso di quattro coltelli depongono a favore del fatto che Sangare aveva la mente obnubilata e voleva commettere qualcosa di eclatante. Come appunto l’uccisione di una persona che non conosceva e che aveva avuto l’unica colpa di incrociarlo in via Castegnate di Terno d’Isola, mentre assorta “guardava le stelle e per questo l’ho colpita”. Il comportamento di una mente folle, quella appunto del killer che dal 2019, dopo il ritorno a Suisio nella Bergamasca da un soggiorno in America e Inghilterra dove aveva coltivato inutilmente il sogno della musica mentre era sprofondato nella ritualità della droga che gli aveva impedito di proseguire la promettente carriera che aveva intrapreso in Italia già a un certo livello, e aveva reso un inferno la vita dei congiunti. Ai giornalisti Awa Sangare, studentessa di ingegneria all’Università di Bergamo, ha spiegato che tra il 2023 e il maggio scorso aveva presentato tre denunce contro il fratello, ma che erano rimaste lettera morta. “Purtroppo nessuno si è mosso”, racconta con profondo disagio la ragazza, la quale sottolinea che quando Moussa era rientrato in Italia aveva confessato a lei e alla madre di “avere iniziato a far uso di droghe sintetiche” e non era più il ragazzo di prima. “Avrebbe potuto uccidere anche me e mia madre”, confermava ieri pomeriggio la studentessa universitaria ai cronisti. L’assassino, come ha spiegato il suo legale, ha confermato al gip Mascarino di fare uso abituale di sostanze stupefacenti, ma che il giorno fatale dell’imboscata proditoria ai danni di Sharon non aveva preso pasticche. Almeno questa sarebbe la sua versione. Il fatto è che lo stupefacente aveva profondamente alterato nel corso degli anni la capacità cognitiva di Sangare, minando le sue facoltà. Non c’è altro modo per spiegare l’uccisione di Verzeni, che è stata considerata dall’assassino alla stregua di un insetto. Lo stesso avvocato Maj ha ipotizzato di poter chiedere una consulenza psichiatrica per avere il parere di un esperto su un comportamento che dire assurdo è poco. La gip ha riconosciuto oltre all’aggravante della premeditazione anche quello dei futili motivi: entrambe bastano per infliggere l’ergastolo. Certo, dipenderà, ma questo riguarderà la fase processuale che è di là da venire perché siamo ancora nella fase investigativa delle indagini preliminari, anche dalla perizia psichiatrica che il gip potrebbe ordinare con la formula dell’incidente probatorio. Anche il pm Marchisio, che coordina l’attività dei carabinieri di Bergamo, potrebbe avanzare al gip la richiesta della perizia psichiatrica per sgomberare il campo dai dubbi. “Da tempo mio fratello di giorno dormiva e vagava la notte in bici – conclude la sorella -, avevamo paura di lui per le sue minacce e per il suo comportamento pericoloso”. Come quello di buttare giù la porta di casa della madre o di aprire il rubinetto del gas, sempre dell’abitazione materna, quando non otteneva il denaro per la droga. Mai nessuno, però, immaginava che Moussa avrebbe potuto uccidere.


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