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Sarajevo, l’orrore dei “cecchini del weekend”

Anche facoltosi italiani pagavano per sparare ai civili durante il conflitto dei Balcani.

di Redazione -


Sarajevo, una città che evoca dolore, resistenza e memoria. Oggi, a distanza di trent’anni dall’assedio più lungo della storia contemporanea, la città torna al centro dell’attenzione per un’inchiesta che scuote le coscienze. Quella sui cosiddetti cecchini del weekend, stranieri che avrebbero pagato per sparare sui civili durante il conflitto bosniaco.

I turisti della morte

Secondo la Procura di Milano, almeno cinque cittadini italiani sarebbero coinvolti in un macabro traffico di guerra. Uomini facoltosi, provenienti anche da Stati Uniti e Canada, avrebbero raggiunto Sarajevo tra il 1992 e il 1996 per partecipare attivamente e in sicurezza all’assedio, sparando dai tetti contro donne, bambini e anziani. Non mercenari, ma civili attratti da un’oscura forma di “macabro divertimento bellico”.

L’inchiesta parte da Milano: prove e testimonianze

L’indagine è stata avviata grazie all’esposto dello scrittore Ezio Gavazzeni, che ha raccolto documenti e testimonianze dell’intelligence bosniaca. Un dossier di 17 pagine ha convinto i magistrati ad aprire un fascicolo per omicidio volontario plurimo aggravato da crudeltà e motivi abietti. Tra le prove, spiccano gli interrogatori di combattenti serbi e le dichiarazioni di un ex agente bosniaco, considerato altamente attendibile.

Sarajevo, il prezzo dell’orrore

Viaggiavano con una compagnia aerea serba ormai scomparsa, rendendo quasi impossibile risalire ai nomi di questi folli giustizieri. A Sarajevo, durante l’assedio, pagavano per sparare ai civili. Ma ciò che fa ancor più rabbrividire è l’esistenza di un macabro prezzario: colpire un anziano costava meno, mentre il “tariffario” saliva in base all’età della vittima, fino a raggiungere il massimo per i bambini. Un’aberrazione che trasforma il dolore in merce, la guerra in spettacolo.

Il ruolo del Sismi e le ombre sull’Italia

Nel 1993, il Sismi avrebbe ricevuto segnalazioni sulla presenza di italiani coinvolti, bloccando alcuni viaggi verso Sarajevo. Tuttavia, i nomi non sono mai stati trasmessi alla magistratura, lasciando un vuoto investigativo che oggi si tenta di colmare. La collaborazione con il governo bosniaco è stata confermata, e il consolato a Milano ha offerto pieno supporto.

La memoria come giustizia

L’inchiesta milanese non è solo un atto giudiziario, è un richiamo alla memoria, alla responsabilità internazionale, alla necessità di dare un nome e un volto a chi ha scelto di trasformare la sofferenza altrui in un gioco crudele. La città, che ha resistito per 1.425 giorni sotto le bombe, merita verità.


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