Politica

Scacchiere del potere

di Edoardo Sirignano -


Il vero ragionamento del post elezioni è lo scacchiere. Prima dell’ascesa di Giorgia, che da sola riesce a prendere più voti dei suoi alleati, c’era un patto sacro nel centrodestra. Una sorta di accordo tra gentiluomini a cui nessuno, mai e poi mai, poteva sottrarsi. Stiamo parlando dello scacchiere, ovvero la divisione plastica dello stivale.

Il tavolo di gioco

Il quadrato in cui si muovono le pedine dei conservatori, mette al centro tre Regioni chiave per la gestione del potere nazionale: la Sicilia, la Lombardia e il Lazio. Queste tre caselle, fino al 25 settembre, rispecchiavano perfettamente gli equilibri tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Nessuno, però, si aspettava che la Meloni potesse superare il 25 per cento. In una vittoria, più personale che di partito, quindi, il nuovo premier potrebbe stravolgere i piani e rimettere in discussione la tanto nota ripartizione. In tal caso, ogni ragionamento salterebbe e si metterebbe addirittura a rischio la sicurezza di un governo, che a parte il voto, deve trovare nella pluralità dei soggetti che lo compongono un punto di forza e non di debolezza. Ecco perché difficilmente la Meloni taglierà all’improvviso chi fino a ieri era un suo pari.

La Sicilia

Il primo capitolo diciamo è stato già scritto. Si chiama Renato Schifani. Il Cav nell’isola, il vero laboratorio della storia nazionale, ha piazzato un suo fedelissimo. Nessuno ha intenzione di toccarlo. Discorso diverso, però, è la partita assessori. Come accontentare i vari Cuffaro, Lombardo a via dicendo? Stiamo parlando di personaggi, che certamente non si accontentano dei cioccolatini dopo aver contribuito alla vittoria. Allo stesso modo, non si può non tener conto delle percentuali ottenute dai singoli partiti in quei collegi. L’Udc, in questo contesto, per esempio, ha un radicamente significativo. Non è da escludere che lo stesso Miccichè, ovvero chi tira i fili di Forza Italia, possa avere un ruolo di governo. La partita, quindi, resta apertissima e non chiusa come qualcuno ipotizza.

La Lombardia

Il motore del Paese, secondo accordi, doveva andare alla Lega. Non si può, però, non badare alla batosta del Carroccio, così come non si può bocciare, dalla sera alla mattina, l’esecutivo guidato da Attilio Fontana, che vorrebbe una riconferma personale. Ecco perché prende quota la promozione della sua vice Letizia Moratti, soluzione che potrebbe tamponare l’ira dell’uscente e non destabilizzare una squadra, che comunque ha ottenuto dei risultati. L’ex ministra, inoltre, sarebbe una personalità gradita ad Arcore, ma allo stesso tempo simpatica a molti sovranisti e probabilmente allo stesso Salvini. Non è da escludere, però, che la Meloni, forte del vento a favore per Fdi, possa lanciare un suo fedelissimo come Ignazio La Russa. Sarebbe un modo per dare un significativo riconoscimento alla destra del suo partito. Il tutto, però, s’incentra con i giochi di governo. Sia Moratti che La Russa sono nella lista degli aspiranti ministri. La prima potrebbe riprendersi il dicastero all’Istruzione, mentre il secondo quello alla Difesa o addirittura optare per il Viminale.

Il Lazio

La priorità delle priorità per il centrodestra sarà strappare al centrosinistra il Lazio. Bisognerà muovere mare, monti e non solo per cacciare Zingaretti dal palazzo. Stiamo parlando, inoltre, della Regione della nuova premier. Per tale ragione, non è da escludere che il generale per vincere questa battaglia possa essere addirittura Francesco Lollobrigida, cognato del presidente del Consiglio. In questo caso, si creerebbe un filo diretto tra Palazzo Chigi e il territorio. Detto ciò, se la Meloni si prende la Lombardia e quasi tutti i ministeri, qualcosa bisognerà pur lasciare agli altri. La Lega, ad esempio, potrebbe puntare tutto su Simonetta Matone. L’ex togata, d’altronde, era già stata indicata come vice di Michetti. Per quanto riguarda Forza Italia, infine, potrebbe rispuntare Guido Bertolaso, già capo della Protezione Civile oppure Rita Dalla Chiesa. La presentatrice, figlia del compianto generale, sarebbe un nome più che spendibile. Si tratterebbe di un profilo che va oltre i tradizionali steccati dei partiti.


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