Attualità

Schiavi delle Coop

di Giovanni Vasso -

CARLO BONOMI PRESIDENTE CONFINDUSTRIA


Il lavoro non paga (abbastanza). E questo, ormai, lo si è capito. Fin troppo bene. Ma adesso si scatena il gran ballo delle responsabilità. Chi paga male o peggio i propri dipendenti, facendo precipitare i livelli delle retribuzioni e causando, contestualmente, sfiducia tra le famiglie? Gli industriali attaccano tutti e Confcommercio replica piccata a Bonomi. Ma gli stipendi italiani continuano a rimanere quelli che, in Europa, crescono meno degli altri. Ad aprire le danze dell’ultima polemica ci ha pensato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Che, di fronte ai dati sui salari magrissimi e sul potere d’acquisto sempre più risicato delle famiglie italiane, è sbottato. Non è certo la prima volta che Bonomi difende il buon nome dell’industria. E che rispedisce, non senza acrimonia, le critiche sui livelli delle paghe e sottolineando come le imprese del settore secondario siano tra le più ligie a rispettare le regole e i contratti nazionali. Questa volta, però, Bonomi è andato oltre. E ha puntato il dito contro il commercio e il mondo cooperativo. Da Venezia, il capo di viale dell’Astronomia ha tuonato: “Il problema dei salari bassi esiste ed è concentrato in alcuni settori che si conoscono bene: commercio, cooperative, false cooperative. Ma non si fa nulla perché quei settori sono coorti elettorali e non si possono toccare. Quindi, basta attaccare l’industria”. Bonomi, poi ha snocciolato le cifre e ha spiegato che, dal 2000 al 2019, l’industria manufatturiera ha aumentato i salari di 5 punti, con un incremento della produttività, secondo il presidente di Confindustria, pari al 3% a fronte del +6% della Spagna e del +17 di Germania e Francia con un salto nella produttività del 20%. Bonomi ha dunque tuonato: “Ma se guardo l’industria italiana non solo il manufatturiero vedo che in quei vent’anni abbiamo aumentato i salari di 19 punti mentre i nostri omologhi tedeschi e francesi di 17 e gli spagnoli del 12. L’industria italiana ha aumentato negli ultimi vent’anni gli stipendi più degli altri competitor europei”. Per Bonomi, infine: “i salari bassi sono concentrati in alcune aree e sappiamo quali sono: commercio cooperative e finte cooperative”. Non è la prima volta che il presidente di Confindustria attacca, frontalmente, il mondo cooperativo. Ad agosto scorso, in un’intervista rilasciata a Domani, c’era stato un vero e proprio duello a distanza con Dario Lusetti, già presidente di Legacoop, che accusò Bonomi di essere un “neocorporativista” e rigettò al mittente (in quel caso era Carlo Calenda) le accuse sull’esistenza in vita di “false cooperative” contro cui proprio Legacoop aveva avviato una campagna ostile.
Le rassicurazioni di Lusetti, ieri come oggi, non hanno di certo convinto Carlo Bonomi. Che, quindi, è tornato a chiedere più controlli e più incisivi: “Possiamo dare l’autorizzazione a incrociare i dati Inps su quanto pago ogni dipendente e quante ore lavorano invece di fantasticare di assumere ispettori per mandarli a destra sinistra. Perché non si fa? Perché quei settori sono corti elettorali e non si possono toccare. Quindi non venissero dire a noi che abbiamo problemi di salario minimo”.
Le parole del capo degli industriali italiani hanno provocato la replica di Confcommercio. Che, in una nota, ha risposto alle accuse di Bonomi: “Forse non si è a conoscenza che il commercio ha il contratto collettivo più applicato in Italia, e comprende trattamenti retributivi e trattamenti di welfare garantiti da fondi nazionali come fondo Est, il più grande fondo di assistenza sanitaria che conta 2 milioni di iscritti e dalla bilateralità di servizio con prestazioni erogate direttamente sul territorio, che compensano bisogni economici quotidiani di oltre due milioni di lavoratori”.
Sullo sfondo della polemica c’è il tema del salario minimo. Bonomi, sull’argomento, ha lanciato una stoccata pesantissima: “Noi garantiamo un salario minimo che sfiora gli 11 euro contro i 9 euro lordi che si vorrebbero inserire”. E sui quali, c’è da registrarlo, c’è abbastanza tensione. Per il presidente di Confindustria, “il problema è che si utilizza la parola imprenditore in maniera impropria”. Un altro affondo. Che non sarà lasciato cadere: l’imprenditore è il capo dell’impresa, come recita il Codice civile. Non chi spreme i suoi dipendenti. Intanto, in Italia, il lavoro continua a non pagare abbastanza.


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