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SCHIAVI E MAZZETTE

di Domenico Pecile -


Lo scorso 20 novembre è cominciata la ventiduesima edizione dei Mondiali di calcio. La più discussa, la più contestata. Per molti anche la più odiata. Domani l’atto conclusivo con la finale tra Argentina e Francia. Trenta giorni di sport e di passione, macchiati però da scandali e morti. Mai come in queste settimane, infatti, il calcio ha mostrato l’impietosa altra faccia della medaglia, che raffigura un mondo dove il business miliardario chiude gli occhi di fronte all’evidenza dei fatti, anche quando questi occultano volutamente crimini contro l’umanità. Già, il Qatar è sotto i fari di una ribalta drammatica. È al centro del dibattito internazionale. Il Qatargate, che ha scoperchiato un verminaio fatto di tangenti, corruzioni e intrighi internazionali, è destinato a tenere banco molto a lungo e a mettere a nudo, ponendole sotto processi, le cosiddette democrazie mature dell’Europa. E mentre infuriano le polemiche tra indagini e carcerazioni, rispunta lo scandalo dei diritti violati, dello sfruttamento brutale nei confronti di un esercito vastissimo di nuovi schiavi, composto in prevalenza da afghani e nepalesi. E mentre i primi, oltre ad avere lasciato un tributo di sangue senza precedenti, non erano nemmeno tutelati dal governo terroristico dei talebani, i nepalesi (circa 400 mila quelli impegnati nei tanti cantieri), hanno adesso l’incondizionato appoggio dei lori governanti. Che chiedono conto al Qatar di risarcire sia quei lavoratori che dopo mesi o addirittura anni di lavori forzati attendono ancora di essere pagati in parte o completamente, sia i familiari della strage, perché di questo si tratta. Sono infatti oltre 6.500 – stando a fonti ufficiali e riconosciute – le vittime morte negli ultimi 11 anni, da quando cioè il Qatar ha cominciato una frenetica attività edilizia per la costruzione degli stati e delle strutture ricettive da mettere a disposizione dei tifosi e del circo mediatico. Ora, dunque, diverse organizzazioni nepalesi hanno firmato una lettera aperta al presidente della Fifa, lo svizzero con cittadinanza italiana Gianni Infantino, per esortarlo a intervenire tempestivamente per fare in modo che scattino tutti i risarcimenti per i lavoratori rientrati nel loro Paese e per le famiglie di quelli che hanno pagato con la vita la brutalità di condizioni di lavoro disumane. Il messaggio – come riferisce il The Himalayan Times – è stato stampato su cartelloni affissi in tutta Kathmandu, capitale del Nepal, compreso l’aeroporto di Tribhuvani. Nella lettera – come riporta il giornale nepalese – si evidenzia come lavoratori del Paese rientrati in patria non possano accedere a un fondo di compensazione istituito dal Qatar nel 2018 per rimborsare i salari non pagati, e come le famiglie delle vittime del lavoro non possano ricevere un risarcimento se la causa della morte del loro parente non viene accertata. Insomma, un escamotage – quello del Qatar – per non assumersi le responsabilità, anche economiche, di quanto accaduto in troppi cantieri. “C’è un enorme pericolo che quando verrà fischiato il fischio finale della Coppa del mondo, il sacrificio di così tanti lavoratori migranti venga dimenticato e le loro richieste di giustizia e di risarcimento ignorate. Se la Fifa vuole mostrare rispetto verso le persone che hanno reso possibile questo campionato del mondo, Gianni Infantino dovrebbe garantire che i lavoratori e le loro famiglie siano ricompensati. Le loro richieste non devono più essere respinte”, sono state le parole di Nirajan Thapaliya, direttore di Al Nepal. Da parte sua, Amnesty International Nepal ha confermato che sono circa 400 mila i lavoratori nepalesi che sono stati impegnati in Qatar “svolgendo un ruolo fondamentale nella realizzazione delle infrastrutture necessarie per ospitare la Coppa del mondo”. In Qatar, dunque, si apre un atro fronte. Dopo gli scandali che stanno infangando l’istituzione europea più importante, ora dovrà fronteggiare anche questo secondo che con il primo è strettamente in connessione. Non può essere infatti casuale che alcuni europarlamentari finiti nel tritacarne dell’inchiesta giudiziaria, come la vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili,abbiano avuto sempre parole benevoli nei confronti del Qatar quando l’aula affrontava i temi legati ai diritti sul lavoro di chi era in trincea per questi mondiali. Ora tutto è terribilmente più chiaro. Le istituzioni dell’Ue, la politica e il mondo del calcio ne escono ancora più infangati e indifendibili. Proprio per questo, sarebbe opportuno che le loro scuse alla fine di tutto questo venissero indirizzate anche al Nepal.

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