Attualità

Scienza tra i Pali: Raffaele Bracconi, il Calciatore-Ingegnere

di Marco Montini -


Mani e cervello, istinto e scientificità: ecco a voi, Raffaele Bracconi, il calciatore- ingegnere dai Castelli Romani, ridente località della provincia capitolina. 22 anni, atleta professionista, ragazzone di 1,90 Raffaele difende la porta del SS Murata, squadra che compete nel massimo campionato della Repubblica San Marino, non è solo un calciatore ma è anche un ingegnere medico, laureatosi qualche settimana fa presso l’Università di Roma Tor Vergata. Insomma un talento del calcio e della scienza che unisce ingegno, disciplina e passione sportiva: un esempio che, da una parte sfata pregiudizi e tabù, dall’altra intende “applicare” l’ingegneria al pallone. E tra un po’ vi spiegheremo come. Eh si, perché proprio partendo da questo connubio non consueto, abbiamo voluto capire se c’è spazio per questa nuova “doppia” professione nel mondo del calcio professionistico: “Immaginiamo – esordisce Bracconi – un calciatore professionista che, oltre ad allenarsi, dedica 4-5 ore al giorno a un’attività ingegneristica part-time, collaborando con uno staff full-time. Il valore aggiunto sta nel fatto che lui vive la realtà del campo. Mentre lo staff tecnico legge grafici e dati, il calciatore-ingegnere sa tradurre quelle informazioni in qualcosa di utile e immediato per mister e compagni: la domanda che conta è “può giocare 90 minuti o no?”. Inoltre, sa cosa significa essere stanchi dopo doppie sedute, rientrare da un infortunio o gestire la pressione. Questa sensibilità nessun ingegnere esterno può averla”. Quindi un calciatore-ingegnere diventa una sorta di ponte tra scienza e calcio? Esattamente. – risponde ancora Raffaele, che poi aggiunge -. Non è percepito come “il tecnico che giudica”, ma come uno del gruppo. Questo abbatte barriere e favorisce la fiducia nello spogliatoio. Oggi molti club cercano proprio questo: una figura capace di portare know-how scientifico senza perdere di vista la realtà del campo. Un esempio è il Barça Innovation Hub. Il calciatore-ingegnere potrebbe incarnare questa nuova professionalità, che unisce la scienza con l’esperienza diretta di atleta”. Un ruolo che potrebbe essere determinante anche nella prevenzione degli infortuni, soprattutto nel calcio contemporaneo dove molte squadre professionistiche giocano praticamente ogni tre giorni, tra coppe e campionati. “Questo è un ambito già molto trattato nelle grandi squadre. Creando modelli biomeccanici personalizzati, possiamo ridurre il rischio di infortuni, soprattutto per articolazioni stressate come ginocchio, caviglia e anche. Con sensori e GPS analizziamo i carichi di allenamento, così da capire se un giocatore ha squilibri muscolari o se esegue un movimento in modo errato. E se il giocatore è già infortunato – dice -, possiamo utilizzare dispositivi di feedback durante la riabilitazione per accelerare il recupero”. E dal punto di vista accademico, dal punto di vista dell’ingegneria applicata allo sport, ci sono evidenze scientifiche sufficienti per sostenere che una figura ibrida come il “calciatore-ingegnere” migliori davvero performance e trasferimento della conoscenza dentro uno staff tecnico professionistico? “Dal mio punto di vista accademico – spiega Luca Andreassi, Professore presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa dell’Università di Roma Tor Vergata – la figura del calciatore-ingegnere è assolutamente valida perché risponde a un’esigenza reale: integrare i dati scientifici con la pratica quotidiana del campo. Oggi sappiamo che strumenti come GPS, sensori inerziali o sistemi di motion capture permettono di stimare carichi, asimmetrie e rischi di infortunio, ma la letteratura ci dice anche che queste informazioni, se non contestualizzate, possono essere interpretate in modo fuorviante. Qui un atleta con competenze ingegneristiche fa la differenza, perché sa leggere il dato e allo stesso tempo “sentirlo” sul proprio corpo, traducendolo in indicazioni concrete per lo staff: giocare novanta minuti o fermarsi un giorno può cambiare la stagione di una squadra. Ed anche dal punto di vista economico è un ruolo nuovo ma assolutamente di impatto. Infatti, le statistiche UEFA stimano – chiosa Andreassi -, ad esempio, che gli infortuni nelle grandi leghe europee costano milioni di euro a stagione. Ridurre anche solo una piccola percentuale di assenze attraverso decisioni più informate ha un ritorno immediato. Ecco perché io vedo in questa figura un profilo strategico: non è solo un tecnico o un atleta, ma un traduttore naturale tra modelli ingegneristici e realtà del campo, ed è esattamente questo che oggi cercano i club più innovativi”.


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