“Sciopero transfemminista”: ma che vuol dire?
Promemoria: l’otto marzo, non è la “festa della donna” ma è la Giornata internazionale dei diritti delle donne. Ergo, una ricorrenza per ribadire la necessità di definire una pari dignità della donna in tutti i campi, dal lavoro alla famiglia, di colmare il gender pay gap e di contrastare ogni forma di disuguaglianza giuridica e materiale dei due sessi, sulla scia delle lotte e delle rivendicazioni delle femministe degli anni ’70. Istanze ben lontane da coloro che oggi si professano tali: e il pensiero non può che andare a NonUnadiMeno, rete eterogenea e molto organizzata di collettivi femministi e queer, che oggi invita a partecipare a quello che viene definito uno “sciopero transfemminista dal lavoro produttivo” – qualunque cosa voglia dire – contro la guerra e il governo Meloni. Ora, tralasciando il fatto che le tematiche Lgbtqi e la cosiddetta “teoria del gender”, che equipara il sesso biologico con il quale nasciamo e quello a cui “sentiamo di appartenere” non è proprio in linea con la difesa dei diritti delle donne che nascono tali, la cosa più grottesca è manifestare contro un governo guidato da una donna, la prima in Italia peraltro.
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