Esteri

Scozia infelix

di Martina Melli -


Il Parlamento Scozzese non potrà tenere un secondo referendum sull’indipendenza, senza l’approvazione di Westminster. Lo hanno deciso all’unanimità i giudici della Corte Suprema inglese ieri mattina, nella frustrazione generale del parlamento nazionale di Holyrood che avrebbe voluto si andasse al voto consultivo ad ottobre del 2023. Dietro la volontà di un nuovo referendum, non solo i nazionalisti che detengono la maggioranza dei seggi in Parlamento ma anche il partito dei verdi scozzesi.
In un’udienza storica presso la più alta corte del Regno Unito, si è discusso se Holyrood avesse o meno l’autorità legale di legiferare su un referendum indipendentista senza che Westminster gli concedesse i poteri richiesti.
Subito dopo la sentenza, il primo ministro, Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party (Snp), ha dichiarato: “La democrazia scozzese non sarà negata”, e ancora” La sentenza di oggi blocca una strada per far sentire la voce della Scozia sull’indipendenza – ma in una democrazia la nostra voce non può e non sarà messa a tacere”.
Pur rispettando la decisione dei giudici, la Premier non si è risparmiata nei confronti di Westminster, che, ha commentato, “mostra disprezzo per la volontà democratica della Scozia”.
“Questa sentenza conferma che l’idea del Regno Unito come partenariato volontario di nazioni, se mai sia stata una realtà, non è più una realtà”, ha spiegato, affilata, in conferenza stampa.
Ha poi continuato dicendo che il suo governo cercherà di utilizzare le prossime elezioni generali come un “referendum de facto” sulla separazione dal resto di Uk dopo oltre 300 anni.
“Dobbiamo e troveremo un altro mezzo democratico, legale e costituzionale con cui il popolo scozzese possa esprimere la propria volontà. Dal mio punto di vista, questa può essere solo un’elezione”.
Pronunciando la sentenza inequivocabile, il presidente della corte suprema, Lord Reed, ha detto che il parlamento scozzese non ha il potere di legiferare per un referendum sull’indipendenza perché un tale disegno di legge riguarderebbe il futuro dell’unione del Regno Unito, una questione riservata a Westminster.
Dichiarazioni da teatro dell’assurdo. Non solo gli scozzesi non possono emanciparsi; neppure esprimere una preferenza in merito senza il “permesso” ufficiale di Londra. Forse la Scozia dovrebbe ambire a godere di maggiore considerazione, prima dell’indipendenza.
Il referendum in questione sarebbe il secondo, dopo quello del 2014 in cui aveva prevalso il “no” rispetto alla volontà di uscire dal Paese.
Quattro primi ministri consecutivi hanno rifiutato le richieste di Sturgeon di concederle un ordine della sezione 30, quella dello Scotland Act del 1998 – legislazione istituita dal parlamento scozzese – che consente a Holyrood di approvare leggi in aree che sono normalmente riservate a Westminster, come l’unione.
Boris Johnson nel 2019 aveva dichiarato che questo tipo di referendum vanno indetti una volta ogni generazione; la Truss, durante il suo breve Governo, ha avuto addirittura modo di dire che la Sturgeon “andasse semplicemente ignorata”.
Se sono sempre stati così convinti, perché otto anni fa hanno votato per il “no”?
Gli scozzesi, due anni prima del referendum sulla Brexit, non volevano rinunciare a far parte dell’Unione Europea. Quando è arrivato il momento di esprimere la propria preferenza, il “remain” di Edimburgo è stato solido e compatto. Eppure, anche in quell’occasione la Scozia ha subito una sorte non voluta e non scelta. Oggi torna a farsi sotto in un clima molto più instabile e frastagliato di quello che c’era nel 2014: non solo la crisi economica e politica che imperversa, anche la morte di Elisabetta, una sovrana che col suo regno lungo 70 anni ha saputo unificare il Paese conferendogli stabilità e cifra identitaria.


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