Attualità

Scozia, si dimette il premier Humza Yousaf

di Angelo Vitale -


Un anno dopo l’addio di Nicola Sturgeon, anche il premier indipendentista scozzese Humza Yousaf si dimette, per evitare un doppio voto di sfiducia nel parlamento locale, dove il suo partito, l’SNP, è sempre più in grandi difficoltà.

Figlio di pakistani immigrati a Glasgow, Yousaf era stato nella squadra di Sturgeon per poi succederle ma ora molla, invocando “qualcun altro al timone” in una conferenza stampa nella sua residenza ufficiale alla Bute House di Edimburgo.

Era stato eletto leader del partito nel marzo 2023, dopo le dimissioni a sorpresa di Sturgeon, rimasta in sella nove anni. Primo leader musulmano a capo di un importante partito politico nel Regno Unito, ha incarnato la continuità con la Sturgeon sostenendo la lotta per l’indipendenza scozzese nonostante la vacillante popolarità del partito e le fratture nella coalizione di governo tra il Partito nazionale scozzese e gli ambientalisti, originate da diverse posizioni sulla policy ambientale per la Scozia.

Senza alleati, il partito di Yousaf, con 63 seggi su 129 si è trovato in minoranza e ha cercato senza successo nuovi partner. Il Parlamento ha ora 28 giorni per trovare un nuovo primo ministro: nel frattempo, Yousaf resterà in carica fino alla nomina del successore.

I suoi tredici mesi di governo sono stati caratterizzati da continue fibrillazioni con Londra: su una avversata legge scozzese per il cambio di genere, sulla posizione del Regno Unito nel conflitto tra Israele e Hamas a Gaza, sull’autorizzazione di un grande progetto petrolifero nel Mare del Nord. Per l’SNP anche guai giudiziari sulle sue finanze: interrogata la Sturgeon, indagato suo marito, Peter Murrell, ex amministratore delegato del partito, accusato di appropriazione indebita. Un destino in calo, con gli indipendentisti insidiati, a pochi mesi dalle elezioni, dal Labour, in crescita in Scozia.

In declino anche l’ipotesi di autodeterminazione scozzese, fin da quando 15 mesi fa la Corte Suprema britannica aveva deciso che solo il governo britannico può autorizzare un nuovo referendum. Peraltro l’ultimo voto sulla questione, dieci anni fa, aveva visto il no vincente con il 55%.


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