Editoriale

SE LO STATO FA L’ANARCHICO

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Nessun italiano normale conosceva Alfredo Cospito fino a un paio di giorni fa. Gli stessi giorni in cui è stato arrestato il capo della mafia dei Corleonesi, Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro dopo trent’anni di latitanza. Eppure oggi è proprio lo stato che ci dà lezioni, che ci spiega come evitare il crimine, ed è sempre lo stato che fa la parte della democrazia più anarchica del re degli anarchici del momento. Già, perché la storia che ci stiamo raccontando è surreale. Il movimento internazionale a cui Cospito aderisce esiste da decenni. E tutti quelli che ci hanno avuto a che fare sanno bene che, a differenza dei mafiosi, che dal carcere mantengono la propria forza e il proprio potere quando sono capaci di comunicare, di dare ordini, di indirizzare l’azione criminale fuori dalle mura della galera, gli anarchici ragionano al contrario. E cioè tendono a agire contro uno Stato che ha sopraffatto, imprigionato, circondato la loro visione del mondo. Ecco che fino a quando Cospito era in carcere per scontare la sua pena, pesante ma del tutto legittima e proporzionata alla colpa, nulla di ciò che stiamo vedendo in queste ore era avvenuto. Ma proprio quando i sospetti di legami e comunicazioni con il mondo anarchico esterno è stato prima sospettato, poi verificato dalla magistratura, si è deciso di utilizzare la formula del 41bis, il carcere duro, isolato, lontano da ogni comunicazione che si usa per i boss, nel timore che da dentro comandino tanto e quanto facevano fuori. Peccato che l’effetto che sta producendo, di fronte alla lenta morte autoindotta che Cospito ha deciso di usare quale suo sacrificio per la causa anarchica, dopo oltre cento giorni di digiuno in galera, sia l’opposto. Ci troviamo di fronte al fatto che l’internazionale anarchica, che sta colpendo diversi Paesi d’Europa nel nome di Cospito, a loro modo di vedere costretto da una misura cautelare arbitraria, contro cui il movimento anarchico si è sempre battuto, interpreti il regime di isolamento come una tortura, scatenando la reazione violenta senza bisogno di ordini diretti o di comunicare con l’esterno. Ed ecco il paradosso: mentre in Italia si discute di non cedere al ricatto di un violento, l’applicazione della misura pensata per i reati di mafia, rende Cospito un simbolo della barbarie democratica, di fatto impartendo proprio l’ordine di agire che il 41bis, applicato nella sua forma normale, tenderebbe a scongiurare. Ne deriva che, al contrario dei reati di mafia, più la percezione del mondo anarchico sarà quella di una strada senza uscita, più Cospito passerà da essere un militante più o meno qualunque di quel sistema, ad assurgere a simbolo della ragione stessa dell’antisistema di matrice anarchica, aumentando e non certo riducendo il rischio che pur in silenzio il suo urlo scateni il crimine in Italia e altrove.
Ne deriva che i veri prigionieri siamo noi, parafrasando la celebre intervista di Fabrizio De Andrè appena liberato dal sequestro, prigionieri del nostro modo di intendere la giustizia come un insieme di carte, non come un fatto reale, che influenza la nostra quotidianità secondo una logica ben più lineare delle nostre spiegazioni ideali di cosa sia giusto o sbagliato fare in un dato momento. Resta, ultima della lista come sempre, la Costituzione italiana a dirci che il regime di carcere duro come il 41bis sia stata autorizzata per una tipologia di criminali diversa da lui. E questo non perché lo Stato debba fare un favore a Cospito, ci mancherebbe, anzi casomai è vero il contrario, ma perché agendo con il paraocchi l’effetto reale che stiamo producendo è quello di trasformare un uomo come gli altri, detenuto, marginale, nel simbolo in una battaglia contro lo Stato. Cioè far dipendere le sorti del detenuto Cospito dal comportamento di chi pur non conoscendolo direttamente, agisce in suo nome fuori dal carcere, non è applicare un regime duro ma fare il gioco dei correi, favorire i delinquenti, aiutare gli anarchici nel proprio progetto sovversivo. Ne consegue che questa applicazione della legge finisce per legare le mani proprio allo Stato di diritto, non certo ai movimenti anarchici alla ricerca di simboli e visibilità. Impedendo allo Stato di fare la cosa giusta, pur di fare la cosa prevista. Impedendo di fare il meglio per il Paese pur di fare il bene sulla carta. Impedendo di risolvere il problema Cospito, pur di dire che di fronte a un problema, evidentemente poco chiaro, l’importante è andare dritti per la proprio strada. Anche se questa strada non va dritta nella direzione del bene.


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