Attualità

“Se va storto buttateli a mare”. Quel traffico fra Tunisia e Sicilia

di Maurizio Zoppi -


Un traffico umano, uno dei tanti, è stato sventato attraverso l’operazione “Mare aperto” condotta dalle forze dell’ordine di Caltanissetta. Una rete dedita all’immigrazione clandestina che faceva base a Niscemi, è stata smantellata dalla polizia di stato. Dei 18 destinatari delle misure cautelari disposte dal Gip, 12 sono stati catturati, mentre 6 sono tuttora irreperibili, poiché probabilmente all’estero. Il gruppo criminale avrebbe organizzato i viaggi sull’asse Tunisia-Sicilia. In particolare, le imbarcazioni degli scafisti sarebbero partite dal porto di Gela o dalle coste dell’Agrigentino per raggiungere la Tunisia e far immediato rientro con il ‘carico’ di migranti. I nord africani, usati come vera e propria merce di profitto: “Se qualcosa va storto buttateli a mare”. Questa la regola di ingaggio, ascoltata dagli investigatori attraverso le intercettazioni dai cellulari dei criminali.
Il cuore pulsante dell’organizzazione? Una coppia di tunisini agli arresti domiciliari per reati di altro tipo. Poi tra Gela e tutta la costa sud della Sicilia, erano presenti altri componenti dell’associazione criminale. Ogni migrante per andare a bordo di un “barchino della speranza” pagava dai 3mila ai 5mila euro.
La genesi dell’indagine risale esattamente al 21 febbraio del 2018, quando all’imbocco del porto di Gela si “incagliava una barca in vetroresina di 10 metri con due motori da 200 cavalli”, segnalata da un pescatore del luogo. Immediate le indagini condotte della Squadra Mobile. La scoperta: era stata rubato a Catania pochi giorni prima e che da quella imbarcazione, erano sbarcate decine di persone probabilmente di origini africane. Dalla procura la circostanza aggravante è quella di aver “esposto a serio pericolo di vita i migranti trasportati, di aver sottoposto a trattamento inumano e degradante i migranti e di aver commesso i reati per trarne un profitto”.
“Il gruppo utilizzava piccole imbarcazioni dotate di potenti motori fuoribordo – spiegano gli investigatori – i viaggi avvenivano fra le città tunisine di Al Haouaria, Dar Allouche, Korba e le province di Caltanissetta, Trapani e Agrigento. Uno di questi viaggi, non portato a termine, ha consentito l’avvio dell’indagine”.
“Abbiamo individuato anche il livello finanziario dell’organizzazione – spiega il direttore centrale dell’anticrimine, Francesco Messina – in Tunisia, il contante, veniva poi inviato in Italia, attraverso alcune agenzie internazionali specializzate in servizi di trasferimento di denaro, per essere poi successivamente versato su carte prepagate in uso ai promotori dell’associazione, i quali lo reinvestivano, per aumentare i profitti”.
Nel frattempo, davanti all’ennesima inchiesta giudiziaria sui “trafficanti dei migranti” in Sicilia, Alpha non si scompone. La parola: “Baciamo le mani” è una delle poche frasi che il ragazzo della Guinea-Bissau, sa dire in italiano. Così, “Baciamo le mani” sono chiamati i loro compaesani residenti in Sicilia, che in Libano oppure in Marocco o in Tunisia, organizzano le “tratte della morte”.
Alpha Silva è uno dei tanti africani arrivati in Europa a bordo delle carrette del mare. Dopo essere sbarcato come molti a Lampedusa, ora vive a Londra, dove lavora da qualche anno, e possiede un regolare passaporto portoghese ottenuto dopo aver sposato una donna di Lisbona.
Alpha non si scandalizza nemmeno davanti all’ultima strage del mare nella quale hanno perso la vita decine di persone giorni fa a Lampedusa. A L’identità spiega: “Morire fa parte del gioco. È un rischio che conosciamo. Ma è l’unico modo per raggiungere l’Europa. Anzi, ne esiste un altro. Diventare un terrorista”.
Rispetto ai trafficanti di vite umane dice: “Queste organizzazioni sono ramificate in quasi tutta l’Africa. Funzionano come agenzie turistiche locali che fanno capo alla sede centrale situata in alcuni porti del nord Africa da dove partono le barche. Io sono stato fortunato e sono ancora vivo. Ci ho impiegato 4 anni per arrivare in Italia. La metà degli anni, per raggiungere la Libia. Ma per molti che scappano, l’unica salvezza, purtroppo, è la morte”.


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