Separazione delle carriere: una riforma attesa da anni
Attacchi preventivi, allarmismo e disinformazione: ANM e sinistra ideologica temono la riforma che potrebbe rompere un equilibrio di potere durato decenni
Il referendum sulla separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti non è ancora arrivato al voto, ma il fronte del “no” è già in trincea. Come ogni volta che si sfiora la struttura del potere giudiziario, si attivano in automatico le difese del sistema: vertici della magistratura associata, gran parte dell’informazione mainstream e una sinistra che, in nome dell’“unità della giurisdizione”, si oppone pregiudizialmente a ogni vera riforma.
Eppure, la posta in gioco è semplice e cruciale: chi accusa non può appartenere allo stesso corpo di chi giudica. La separazione delle carriere non è uno slogan, ma una garanzia per l’imparzialità del processo. In moltissimi ordinamenti occidentali è la norma. In Italia, invece, continua a essere trattata come un attentato all’indipendenza della magistratura.
La Sinistra ideologica alza il muro
Il tentativo è chiaro: trasformare il referendum in una battaglia ideologica. Non un confronto sul merito, ma un processo alle intenzioni, dove chi propone la riforma diventa automaticamente “nemico della giustizia”. La sinistra, in particolare, sta costruendo una narrazione allarmista, parlando di “attacchi alla Costituzione” e “derive autoritarie”.
Ma la verità è che la separazione delle carriere è tutto fuorché autoritaria: è una misura di equilibrio tra poteri, non uno squilibrio. Rende più netta la distinzione tra chi conduce le indagini (il pm) e chi deve giudicare in piena terzietà (il giudice). L’attuale sistema crea zone grigie e promiscuità, anche culturali, che mettono a rischio la percezione di imparzialità da parte dei cittadini.
L’intervento di Luigi Bobbio
A denunciare con forza l’aggressività del fronte anti-referendario è stato Luigi Bobbio, magistrato e già senatore, con parole che hanno scosso il dibattito:
«L’offensiva giudiziaria per il referendum sulla separazione delle carriere è già iniziata ed è violentissima, con l’appoggio della sinistra più politicamente stupida che si sia mai vista e della quasi totalità della (dis)informazione. Qualcuno dovrebbe comunicare a Giorgia Meloni che questo referendum difficilmente lo può vincere con “comunicatori” politici pavidi, timorosi, moderati, come Nordio o qualche sottosegretario. Questo è un referendum che va condotto con il coltello tra i denti, illustrando innanzitutto le menzogne della ANM e il ruolo anticostituzionale che ha assunto la magistratura italiana. Servono comunicatori competenti, informati, politicamente esperti, convinti e aggressivi».
Una dichiarazione forte, che fotografa un clima già rovente. Bobbio non contesta solo l’azione dell’ANM o della sinistra, ma avverte anche il centrodestra: questa sfida non si vince con timidezza.
Il referendum non è una provocazione, ma una riforma di civiltà
Occorre ribadirlo: la separazione delle carriere non è un attacco alla magistratura, ma una misura di buon senso. È il modo più chiaro per preservare l’equilibrio tra poteri, rafforzare la fiducia dei cittadini nei confronti del giudice, e ridurre le degenerazioni interne a un sistema che ha spesso mostrato limiti profondi, anche sotto il profilo correntizio e disciplinare.
Chi la teme, lo fa perché vede nella riforma un pericolo per un sistema di potere consolidato, non perché manchi una base giuridica o costituzionale. L’idea che un pubblico ministero possa un giorno diventare giudice, o viceversa, è incompatibile con un assetto equilibrato. Eppure in Italia è ancora possibile.
Serve una campagna forte, chiara, determinata
Se davvero si vuole portare avanti questa riforma, non basta affidarsi a linguaggi moderati o istituzionali. Serve spiegare ai cittadini cosa sta accadendo, quali sono i punti della riforma, e soprattutto chi e perché la osteggia.
Il referendum rappresenta una delle poche occasioni in cui i cittadini possono incidere direttamente su una questione fondamentale come la giustizia. Ma per farlo devono essere informati, non spaventati. E chi sostiene la riforma deve avere il coraggio di parlare con fermezza, senza cedere al ricatto ideologico.
La vera posta in gioco: lo Stato di diritto
Questo referendum non è solo una proposta tecnica. È una scelta politica nel senso più alto: riguarda il modello di giustizia che vogliamo. Una giustizia imparziale, trasparente, non condizionata da logiche interne o da derive di potere.
La separazione delle carriere non è una bandiera di parte, ma una condizione minima per un sistema giudiziario maturo. È tempo che il dibattito esca dalle stanze dei Palazzi e arrivi ai cittadini. Perché, questa volta, la parola spetta davvero a loro.
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