Serbia in fiamme: la protesta degli studenti scuote il governo Vučić
Brucia la Serbia: le origini di una rivolta senza precedenti che potrebbe degenerare in guerra civile.
Era il 1° novembre 2024 quando la Serbia fu scossa dal crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad. Sedici persone persero la vita e quell’incidente – da molti attribuito a corruzione, mala gestione e appalti truccati – divenne la miccia di una mobilitazione che da allora non si è più spenta.
A guidare la protesta furono fin da subito gli studenti universitari, che hanno scelto la via della non-violenza come metodo di lotta: occupazioni, cortei, blocchi stradali, lezioni pubbliche. La loro determinazione ha presto coinvolto insegnanti, agricoltori, intellettuali e lavoratori di ogni settore.
Un movimento pacifico sotto attacco
Gli studenti hanno sempre ribadito che le loro azioni sono pacifiche, ma da novembre denunciano un fenomeno inquietante: l’infiltrazione nei cortei di personaggi vicini al governo, pronti a provocare disordini e a gettare discredito sulla mobilitazione.
Molti giornalisti hanno dichiarato di averli riconosciuti e identificati, ma il governo non ha mai reso pubblici i loro nomi, alimentando il sospetto che si tratti di una strategia deliberata.
Escalation di violenza: nuove armi contro i manifestanti
Negli ultimi giorni la tensione è esplosa con scontri durissimi. La polizia, oltre a lacrimogeni e manganelli, ha introdotto armi acustiche e laser: storditori a ultrasuoni e fasci luminosi che causano vertigini e persino sordità temporanea. Strumenti di controllo considerati da molti osservatori come un segnale preoccupante di repressione militare.
Secondo le organizzazioni per i diritti umani, l’uso di queste tecnologie segna un salto di qualità nel conflitto interno e fa temere che la Serbia stia scivolando verso una vera e propria guerra civile.
Sessanta università occupate
Oggi il cuore della protesta batte nelle aule: 60 università serbe sono occupate dagli studenti, che hanno trasformato i campus in laboratori di democrazia e resistenza civile. Le assemblee discutono non solo di corruzione e giustizia per le vittime di Novi Sad, ma anche di trasparenza negli appalti pubblici, libertà di stampa e fondi per l’istruzione.
Un movimento indipendente da tutti i partiti
Un punto resta fermo: gli studenti rifiutano che la loro battaglia venga strumentalizzata dalla politica. Né il governo né le opposizioni hanno diritto di usare il movimento per fini di parte. L’appello è chiaro: “Questa è la voce della società civile, non dei partiti”.
Una Serbia al bivio
La crisi si trascina ormai da nove mesi, senza segnali di apertura da parte del presidente Aleksandar Vučić, che continua ad accusare i giovani di essere manovrati dall’estero. Intanto le piazze di Belgrado e Novi Sad restano piene, i feriti e gli arresti aumentano, e il timore che il Paese scivoli in uno scontro fratricida cresce giorno dopo giorno.
La Serbia è oggi davanti a un bivio: ascoltare la voce di una generazione che chiede verità, giustizia e riforme, o imboccare la strada della repressione, con conseguenze che rischiano di incendiare l’intera regione balcanica.
Torna alle notizie in home