S(GAZA)TI – Profughi verso il sud tra due fuochi
Una lunga fila di profughi, carichi di vettovaglie e stracci, si snoda lungo la Striscia di Gaza in direzione Sud, verso il confine con l’Egitto. È qui che la Gaza Humanitarian Foundation, l’organismo sostenuto da Stati Uniti e Israele, ha allestito gli unici quattro centri per la distribuzione di pacchi di riso, farina e pasta alla popolazione stremata dalla fame. Gli aiuti umanitari nella Striscia, infatti, si sono interrotti lo scorso 3 marzo, in seguito al fallimento del cessate il fuoco, e sono ripresi solo il 26 maggio. Nel frattempo, mentre la gente affluisce verso i grandi centri di Rafah e Khan Yunis, si susseguono le notizie sulle sparatorie che avrebbero colpito più volte i civili in coda per gli aiuti, in un avvicendarsi di polemiche e accuse reciproche tra Hamas e Israele, che lunedì ha coinvolto anche l’Onu. La dinamica dei fatti è tutt’altro che chiara. Il consueto avvicendarsi smentite tre le parti è senza esclusione di colpi, tra video di imprecisati gruppi armati ripresi con i droni mentre sparano sui civili e dati sui decessi sempre più incerti. Al centro delle polemiche c’è proprio la Gaza Humanitarian Foundation, l’organismo sostenuto da Stati Uniti e Israele che ha sostituito l’organizzazione dell’Onu nelle consegne degli aiuti nella Striscia. Secondo fonti palestinesi interne a Gaza sarebbero stati oltre 70 i morti, vittime del fuoco degli scontri proprio mentre erano in coda per gli aiuti. Sul fronte opposto, le Forze di difesa Israeliane, che sulla vicenda hanno aperto un’inchiesta, hanno fatto sapere che almeno per quanto riguarda gli incidenti di lunedì scorso, le vittime non sarebbero state civili in coda per gli aiuti, bensì sospetti che si sarebbero avvicinati alle postazioni israeliane nei pressi di un sito della Gaza Humanitarian Foundation. Questo sarebbe avvenuto ben prima delle 5.00 del mattino, ora di inizio delle distribuzioni alimentari ai civili. La stessa Gaza Humanitarian Foundation, consapevole della situazione a dir poco precaria, ha più volte invitato la popolazione di Gaza a servirsi dei corridori umanitari predisposti per accedere ai siti di smistamento delle derrate alimentari. Ma, allo stesso tempo, ha negato ripetutamente che siano avvenuti incidenti durante la distribuzione degli aiuti. Sulla vicenda lunedì è intervenuto il capo dell’Onu Antonio Guterres, che ha chiesto un’indagine indipendente. L’ultimo episodio controverso riguarda la giornata di martedì ed è emblematico. Mentre le Forze di difesa israeliane hanno dichiarato di aver aperto il fuoco per il terzo giorno consecutivo su un gruppo di palestinesi sospetti che si stava avvicinando a un loro avamposto a circa 500 metri dal centro di distribuzione degli aiuti presso Rafah, l’Onu riporta la vicenda senza menzionare alcun gruppo armato. Jeremy Laurence, portavoce della Commissione per i Diritti Umani dell’Onu, ieri si è espresso in questi termini: “Per il terzo giorno consecutivo la gente è stata uccisa nei pressi di un centro di distribuzione degli aiuti della Gaza Humanitarian Foundation. Questa mattina abbiamo ricevuto informazioni sul fatto che decine di persone sono state uccise e ferite”. L’Onu in passato non aveva avuto remore nel segnalare furti di derrate destinate ai civili da parte gruppi armati. Martedì, invece, l’organizzazione ha ricordato ancora una volta che ostacolare l’accesso al cibo e ai soccorsi per i civili di Gaza potrebbe costituire un crimine di guerra. Numerosi palestinesi sono stati testimoni di episodi simili in questi giorni. Yasser Abu Lubda, 50 anni, ha dichiarato ai giornalisti di Associated Press di aver assistito a scontri a fuoco avvenuti alle 4.00 del mattino a circa un chilometro dal centro di distribuzione degli aiuti a Rafah. Una donna di Khan Younis, Neima al-Aaraj, ha fatto un racconto molto simile, poi riportato anche da Al-Jazeera. È evidente che i momenti di maggior tensione si verificano prima delle 5.00 del mattino, ora in cui prendono avvio le distribuzioni di alimenti alla popolazione civile. I nutrimenti più elementari per la sopravvivenza non solo scarseggiano nella Striscia, ma sono sempre più difficili da raggiungere. Distribuiti da organismi ostili all’organizzazione di Hamas, che fino a ieri ha esercitato il suo pungo di ferro sulla popolazione di Gaza, costringono i civili palestinesi tra due fuochi. Da una parte la scelta della fame per sé e la propria famiglia, dall’altra la sfida per raggiungere l’aiuto nelle mani del nemico, in mezzo a gruppi armati. Proprio adesso che il caldo inizia ad attanagliare la Striscia e l’accesso all’acqua potabile rischia di trasformarsi in un nuovo percorso a ostacoli o, meglio, tra i proiettili. In queste ore è difficile comprendere quali siano le reali disponibilità idriche a Gaza. Secondo fonti palestinesi vicine ad Hamas, nella Striscia verrebbero distribuiti solo 35.000 bicchieri di acqua potabile al giorno, meno di un terzo dei 120.000 bicchieri a disposizione prima dell’inizio della guerra nel 2023. A provvedere la quantità d’acqua maggiore è la società israeliana Mekorot: i pozzi nella Striscia, infatti, sono ormai quasi sempre fermi per via della mancanza di carburante ed elettricità. L’acqua viene distribuita con il contagocce. In un territorio dove le abitazioni sono un lontano ricordo e si viaggia sfollati verso il Sud della Striscia, è proprio l’acqua che promette di trasformarsi nella prossima drammatica emergenza per la popolazione di Gaza già stremata dalla fame.
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