“She-cession”: l’America che perde le donne
Negli Stati Uniti, oltre 600 mila donne hanno lasciato il lavoro retribuito in un solo anno. Un numero da non sottovalutare, quasi invisibile nella quotidianità dei titoli economici, ma preoccupante se letto in prospettiva sociale. Il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro è sceso dal 57,7% al 56,9%: un ritorno al passato che gli economisti definiscono senza mezzi termini “una tendenza che non si vedeva da decenni”. L’hanno battezzata “She-cession”, la recessione delle donne. Un termine che racconta molto più di una statistica: definisce una resa, una fatica collettiva, un sistema che ancora oggi scarica sulle spalle femminili il peso del lavoro non riconosciuto.
Il prezzo della doppia vita
La pandemia prima, l’inflazione poi, e ora la crisi del welfare. Le donne americane sono state travolte da un’onda che ha cambiato per sempre l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Mentre le aziende spingevano sul rientro in ufficio, le scuole chiudevano, i servizi di assistenza crollavano e il costo della vita saliva alle stelle. In questa tempesta, milioni di madri, figlie e caregiver hanno dovuto scegliere: il lavoro retribuito o la sopravvivenza familiare. E la scelta, spesso, è caduta ovviamente sulla seconda opzione. Non sempre per vocazione, ma sicuramente per necessità. Non per mancanza di ambizione, ma per assenza di alternative.
Il sogno americano si tinge di grigio
Mentre la retorica sulla parità continua a riempire conferenze e spot aziendali, la realtà prende una strada che porta nella direzione opposta. Negli Stati Uniti, il paese che si vanta di essere la patria delle opportunità, l’assenza di un sistema di welfare universale – asili pubblici, congedi parentali retribuiti, assistenza sanitaria accessibile – rende la maternità complessa. Una donna su quattro lascia il lavoro entro l’anno successivo alla nascita di un figlio. Non per scelta, ma perché nessuno lo rende “sostenibile”. E mentre il mercato del lavoro continua a premiare la disponibilità illimitata e la produttività senza sosta, chi chiede equilibrio viene tagliato fuori.
Una regressione mascherata da progresso
Per anni si è parlato di empowerment, di leadership femminile, di quote rosa e glass ceiling. Ma la realtà è che le donne non stanno salendo ai vertici, stanno uscendo silenziosamente di scena. La “She-cession” non è un fallimento economico, ma un disastro politico e culturale. È la prova che la parità non si misura con il numero di manager in copertina, ma con la libertà concreta che una donna ha di lavorare senza dover necessariamente scegliere tra stipendio e famiglia. Lavorare non dovrebbe essere un privilegio, ma un diritto. Eppure, nel 2025, sembra ancora una conquista lontana, incerta e condizionata.
L’effetto domino: meno donne, meno futuro
Le conseguenze della fuga femminile dal mondo del lavoro non sono solo sociali: sono economiche, demografiche e culturali. Ogni donna che rinuncia a un impiego rappresenta una perdita per il PIL, ma anche per l’innovazione, per il pluralismo delle idee, per la crescita collettiva. Secondo alcune stime, se la partecipazione femminile tornasse ai livelli pre-pandemia, l’economia statunitense guadagnerebbe oltre 500 miliardi di dollari l’anno. Ma al di là dei numeri, resta un interrogativo più profondo: che società è quella in cui metà della popolazione è costretta a scegliere tra lavorare o dare vita ad una famiglia?
La grande illusione del work-life balance
L’America – e non solo – ama parlare di “work-life balance”, ma la verità è che quel bilanciamento non esiste. È un mito inventato dal capitalismo per sedare i sensi di colpa, mentre il sistema continua a premiare chi sacrifica tutto per il lavoro. La “She-cession” è la dimostrazione plastica di un mondo che si regge ancora sul lavoro gratuito e invisibile delle donne: cura, assistenza, educazione, sostegno emotivo. Tutto ciò che non passa dal mercato, ma senza cui il mercato non esisterebbe.
Un grido che attraversa l’oceano
La crisi americana non è lontana: è lo specchio di una condizione globale. Anche in Europa e in Italia, la partecipazione femminile resta sotto la media, e ogni volta che l’economia vacilla, le prime a pagare sono le donne. Negli Stati Uniti la chiamano “She-cession”, da noi potremmo chiamarla “normalità”: quella di un mondo che continua a pretendere dalle donne la produttività di un uomo e la dedizione di una madre perfetta. E mentre si parla di intelligenza artificiale, di automazione, di futuro del lavoro, la realtà più antica continua ad essere più dura: senza una parità reale, il progresso si dimostra solo un’altra forma di sterile retorica.
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