Cultura & Spettacolo

Si chiama Unseen, giustamente

di Nicola Santini -


 

Ispirato dalle pulizie di primavera, mi sono guardato questa serie che è entrata, a parer mio senza particolari meriti, nella top ten delle serie più viste di Netflix.
Sostanzialmente la trama riguarda una donna delle pulizie che diventerà suo malgrado parte di una catena di eventi oscuri legati ad una rete criminale senza scrupoli.
L’idea di per sé non è malaccio.
Il punto di vista di una donna delle pulizie, con uno sguardo disincantato su una realtà al limite come punto di partenza è assai stimolante. Se uno si è visto Devious Maids, però, torna a vedere Devious Maids. Perché qua, come spesso succede con i soggetti pieni di bei propositi e belle intenzioni, poi è nello sviluppo delle storie che spesso si rischia di inceppare l’aspirapolvere, rendendo il ritmo stantìo e la visione ad alto, altissimo tasso di sbadigli.
Dalle esperte in lavori domestici bisogna imparare che anzitutto bisogna fare ordine, è la prima regola ed è la prima cosa che manca in questa serie.
Zenzi, la protagonista, a seguito della morte del figlio e l’incarcerazione del marito Max, è costretta ad accettare di lavorare per chiunque sia in grado di offrirgli un qualsiasi impiego, ma tra una servizio domestico e l’altro, salta fuori il lavoro sporco che circonda la zona, nel quale lo stesso marito di lei, senza che lo sapesse, ovviamente, era coinvolto. Nonostante le difficoltà, ora Max dovrebbe uscire di prigione, ma visto che l’uomo si fa di nebbia invece di tornare a casa, la coraggiosa Zenzi decide di darsi da fare per rintracciarlo, e non si farà problemi nel cercare di avere risposte da quegli stessi boss che lo avevano incastrato. Fin qua tutto avvince, quantomeno perché non sussistono motivi per non pensare che poi succeda qualcosa di strabiliante che motivi una serialità di sei puntate. Peccato che…
Nonostante le puntate iniziali si colorino da subito di situazioni ricche di tensione che vanno anche ad affrontare le problematiche di quella società nella quale la donna deve sempre essere pronta a farsi valere e rispettare, pur incappando in qualche ingenuità di troppo che va a minare le fondamenta di ciò che accade, poi il tutto si infanga nelle sabbie mobili di un’adrenalina che va avanti col freno a mano e che sostanzialmente lascia tutto un po’ incompiuto.
Questa bipolarità della protagonista, che se all’inizio ispira sentimenti contrastanti, facendocela vedere a turno ingenua e allocca e dall’altro determinata e combattiva, poi nell’ibrido ci persono, perché alla fine manca un po’ di identità e pensare che il tutto sia congeniato solo per aumentare la curiosità verso una seconda stagione, più di una volta mi ha fatto venir voglia di troncare a metà la visione della prima.
In Unseen le scene ad alto contenuto emotivo e le tante sciagure che si scatenano contro la protagonista non possono non emozionare, e vedere Zenzi messa all’angolo da qualcosa di troppo più grandi di lei per essere fronteggiato, ci fa empatizzare anche in modo eccessivo .
Se però il lato sentimentale è riuscito ed è ben fatto, poi però la scrittura del plot si trascina un po’ a pezzi e a bocconi e e a farne le spese è la storia nel complesso che poi ritorna a lei, troppo indecisa se essere una poveretta disperata che spara le cartucce che può e un agente segreto e cazzuto (sempre lei quando si sveglia) che sa di non sbagliare un colpo. Insomma, si decidessero.
Tutto questo perché l’espediente della donna che ricorre a tutte le sue forze e si stupisce lei stessa di quanto possa fare, funziona se serve un’accelerata iniziale che ti sposta dal primo al secondo episodio senza andare nemmeno al bagno, poi però diventa scontato e precedibile per cui non vedi l’ora che ti scappi di nuovo, in realtà, per avere la conferma di essere ancora sveglio e non in attesa degli eventi che poi non accadono, perché tanto li conosci già. O, peggio ancora, li intuisci.
Pure il finale, scontatino, che non sto a spolierare, ha un momento di pathos che è il giusto premio per la visione trascinata delle sei puntate, poteva dare di più, per far perdonare autori e regia di tutta quella sequenza di eventi poco credibili, molto prevedibili e di conseguenza tanto noiosi che si lasciano guardare solo per rispetto a quella poveretta che armata di straccio e di scopino si guadagna il rispetto dello spettatore facendo breccia nella parte più buona di noi che vogliamo sostenerla fino alla fine, pensando di darle anche quello che un pensiero più strutturato le doveva.

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