Editoriale

SINDROME DI MARCO POLO

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Abbiamo la sindrome di Marco Polo. Pensiamo che la Cina non esista. Sappiamo che c’è, sappiamo che è forte, sappiamo che ha un’altra visione del mondo ma abituati come siamo ad aprire e chiudere tutte le nostre questioni dentro il piccolo, ormai stretto Occidente, a conti fatti quello che succede a Pechino ci sfugge. E eravamo in prima fila per giocare la partita della Via della Seta. Annunci, conferenze stampa, entusiasmo, una colonizzazione economica e politica di buona parte della nostra logistica era già stata accettata dall’Occidente. Dall’Italia in particolare. Dai Cinquestelle, in quel momento al governo, con grandi proclami. Poi è venuta la guerra, quella guerra che ancora non capiamo, che pensiamo sia solo una resistenza dell’Ucraina contro la Russia, e invece è una resistenza dell’Occidente all’idea di non essere più il padrone del mondo. Una guerra tanto più grande di noi, che molti giocano sopra di noi. E così il nostro titolo “Pacina”, la pace proposta dalla Cina, cioè la nuova guerra ben più lunga dei giorni, settimane, mesi in cui abbiamo visto morire decine di migliaia di persone innocenti, sta sopra di noi. L’Europa fa l’unica cosa che sa fare. Ascolta, finge di possedere la chiave di lettura migliore di ciò che sta accadendo nel mondo, molto più grande di lei, e per voce di Ursula von der Leyen fa sapere che in fondo i cinesi stanno con la Russia. E invece il problema non è questo. Il problema è che non c’è nessuna Russia, non c’è nessuna Ucraina, non c’è nessuna Europa, c’è una ripartizione del mondo come noi credevamo di averlo conosciuto, e posseduto, che passa sopra le nostre teste. In assenza di un ritorno forte della politica, della democrazia intesa come progetto per un mondo migliore futuro, della franchezza e della trasparenza nei confronti dei popoli che non comprendono quanto stia avvenendo sopra le loro teste, è difficile che noi possiamo immaginare il finale di questa partita. E il problema sta proprio qui: la sindrome di Marco Polo, perché l’Occidente è molto saggio, molto vecchio, vanta la storia più grande del pianeta, ha inventato la democrazia, l’ha costruita, l’ha portata nel mondo, ma si è dimenticato di non essere l’unico abitante rimasto su questa terra. Solo il Papa oggi sta parlando questo linguaggio. La forza di chi è più forte, mi si passi il gioco di parole, è riuscire ad aprire un varco nelle debolezze con cui siamo costretti a trattare se vogliamo che davvero il futuro sia progettato da noi. E’ questo che manca alla democrazia. Ovvero la forza di pensare più alto di quanto i nostri valori ci consentano a una prima lettura. Pensare cioè i nostri valori nel loro senso più autentico, più profondo. Quello di attuare la libertà, attuare la democrazia, non soltanto proclamarla.

Torna alle notizie in home