Attualità

Smartphone estremo: più di 200mila adolescenti hanno partecipato almeno a una challenge

di Eleonora Ciaffoloni -


Più follower, più like, più commenti, più amici virtuali, più voglia di apparire e mostrare al mondo della rete cosa si è capaci di fare. Anche a costo della vita. Un circolo vizioso in cui è sempre più facile entrare e da cui si esce solo quando la realtà impatta violentemente contro quel mondo parallelo vissuto attraverso lo schermo di uno smartphone o di un computer. È successo a Roma, mercoledì pomeriggio, quando il suv Lamborghini su cui viaggiavano cinque youtuber si è schiantato contro una Smart, provocando un incidente fatale che è costato la morte a Manuel, di cinque anni. Una storia con dei risvolti sconcertanti: i cinque giovani a bordo – tra i 20 e i 23 anni – erano nel bel mezzo di una challenge web, una di quelle sfide che si susseguono se si scrolla tra YouTube e Tik Tok. L’obiettivo dei cinque era passare 50 ore dentro l’auto di lusso, noleggiata per l’occasione e diventata protagonista, anche prima dell’incidente, dei contenuti social.

I “The Borderline” – questo il nome del canale YouTube e delle pagine social dei giovani – contano sulla piattaforma più famosa per i video oltre 600mila seguaci a cui si aggiungono anche le decine di migliaia di follower sui profili Instagram privati dei singoli. Numeri che, in maniera sorprendentemente negativa, sono aumentati a seguito dello scontro fatale di mercoledì. Perché il mondo del web è in continuo movimento e ogni momento deve essere immortalato: e così per capire chi siano i protagonisti – con probabilmente la curiosità di avere sul proprio telefono qualche contenuto in diretta – in migliaia si sono riversati a comporre sulla barra di ricerca quei nomi che sono stati ripresi dalla cronaca.

Un circolo, appunto, perché anche i diretti interessati, probabilmente e stupidamente inconsapevoli di quanto accaduto, nei momenti appena successivi all’incidente continuavano, attraverso i propri dispositivi, a filmare le auto accartocciate a lato della strada e quanto stava accadendo intorno. Non perdersi un minuto, immortalare tutto, collezionare visualizzazioni di contenuti di cui non ha importanza l’apprezzamento: l’importante è che se ne parli.

I “The Borderline” hanno di certo fatto notizia e, in maniera non troppo implicita, creato sdegno. Ma non sono gli unici che, con le challenge sul web, hanno agito in modo pericoloso compromettendo la sicurezza e la salute propria e degli altri: era successo qualche anno fa con la “Blu Whale” (la balena blu) – una sfida che consisteva in una serie di prove che portavano al suicidio – fino alla “Blackout Challenge” – una sorta di istigazione allo strangolamento – che hanno portato alla morte di decide di adolescenti. E i dati sono sconcertanti: sei minori su cento, in Italia, hanno partecipato ad almeno una sfida sul web, per un totale che si avvicinerebbe a circa 250mila ragazzi coinvolti. Quella delle challenge sembra essere quasi come una malattia, un virus che si propaga grazie all’inconsapevolezza e all’incoscienza (spesso data dall’età) di ragazzi prematuramente messi di fronte a uno schermo. Ma non dobbiamo andare a cercare troppo lontano: purtroppo le notizie di cronaca su questi atti scellerati sono all’ordine del giorno.

È degli ultimi giorni la storia di un diciottenne di Modena che dallo scorso mercoledì è dato per disperso. Il motivo è sempre legato al mondo social: il ragazzo appena adolescente, per poter “creare un video divertente” da postare su YouTube, si è tuffato nel fiume Secchia – in un punto non indicato alla balneazione – e non è più riemerso. A raccontarlo è un amico che si trovava con lui e che ha filmato quanto accaduto: al terzo tuffo, il 18enne non è riemerso e il suo corpo, ad oggi, non è ancora stato ritrovato.
Sembra evidente ormai, la mancanza di contatto con la realtà, quella di tutti i giorni, quella vissuta in strada, sulla riva di un fiume o più banalmente a scuola o al bar sotto casa. Una visione distorta del mondo circostante, perché osservata dal punto di vista di un mondo virtuale in cui in tanti si riconoscono di più che in quello concreto. Una visione che potrebbe, e dovrebbe, essere cambiata. Senza demonizzare il digitale, che ha cambiato le nostre vite, ma senza neanche diventare degli zombie avulsi dalla realtà.


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