Attualità

“Sono sereno”. E nella testa ti scatta l’allarme

di Francesca Albergotti -


L’aggettivo sereno ha le sue radici nel latino “serenus”, asciutto, sgombro di nuvole, limpido, ed è parola da sempre amata dai poeti. Ungaretti la sceglie per il titolo di una poesia a rappresentare il cielo offuscato di nebbia che all’improvviso svela le stelle mentre lui, dal fondo di una trincea durante la prima guerra mondiale, inala un respiro azzurro e fresco capace di connetterlo, pur nella precarietà umana, all’universo. Saba ne fa uso per descrivere Glauco, il fanciullo con l’occhio sereno, la chioma bionda e la voce gioconda che gli chiede se sia consapevole “di quanto dolce possa essere la vita”.

Keats cerca un rifugio “sereno” nel mondo attraverso la bellezza, Leopardi vede nel cielo sereno dopo la tempesta il “rallegrarsi del cuore”. Per Dante è il milieu del suo incontro con Beatrice appena prima di raggiungere il paradiso “io vidi già nel cominciar del giorno la parte oriental tutta rosata e l’altro ciel di bel sereno addorno”. Anche la Merini prega l’amato di lasciarla in pace, a giacere solitaria “come una rosa sfatta nel sereno”. Ma le parole sono finestre alle quali chiunque può affacciarsi, e il vocabolo “sereno” blandito con tanta grazia dai poeti ha ormai assunto un’inconsueta accezione figurata, ultimamente molto popolare.

L’espressione “sono sereno” viene ripetuta spesso, riferita a una disposizione d’animo e prediletta da chiunque voglia esternare la propria pace interiore a fronte di una domanda, un avvenimento, un’accusa, un’insinuazione, un addebito. La usa il presidente di una regione dopo che la legge sul fine vita di iniziativa popolare alla quale lui era favorevole viene affossata dai suoi compagni di partito. È sereno il deputato di fronte alla domanda di un giornalista rispetto allo sciopero dei benzinai, e specifica zelante: lui oltre a essere sereno è anche molto green e dal 2008 non ha più l’automobile, a lavorare ci va a piedi e il problema di conseguenza lo riguarda poco. Peccato che non tutti abbiano il privilegio di abitare nei pressi del luogo di lavoro.

Anche il sottosegretario dotato di non comune destrezza linguistica precipita nella cloaca della banalità verbale chiarendo, dopo che le sue case sono stata perquisite, che quel quadro al centro di un’inchiesta per ricettazione lui l’ha consegnato spontaneamente, che l’indagine è un atto dovuto e lui è sereno. Un altro deputato al quale è stato notificato il provvedimento di arresti domiciliari nell’ambito di un’indagine per corruzione e turbativa d’asta, fatti che sarebbero avvenuti quando era assessore ai lavori pubblici, si dichiara “sereno”, anche se nel frattempo dovrà stare chiuso in casa. Il generale scrittore appena rientrato in servizio come capo di Stato Maggiore, nonostante penda su di lui un’inchiesta formale aperta per accertare eventuali infrazioni disciplinari, esprime la sua ferma volontà a proseguire il trionfale tour promozionale del suo libro e che “è sereno”.

Il ministro che vuole il Ponte sullo Stretto è sicuro che in manovra finanziaria i soldi si troveranno: “I soldi o si trovano o non si trovano, tertium non data, entro il 2032 avremo un collegamento diretto da Palermo a Stoccolma, sono sereno”. Il presentatore di Sanremo affaccendato a promuovere il festival deve trovare il tempo, di fronte alla turpe insinuazione di aver escluso un brano perché non abbastanza politically correct, di spiegare al suo pubblico di non aver mai avuto rapporti con la politica e aggiunge “sono sereno”. Durante un’intervista lo studente della Bocconi condannato in terzo grado a 16 anni per l’omicidio della fidanzata svela candidamente di “essere sereno”. Il promotore di giustizia vaticano alla fine del processo sugli investimenti della segreteria di Stato a Londra che ha sancito la condanna di 9 fra cardinali monsignori e faccendieri si sente “sereno” per non aver portato a processo innocenti. Nel mondo del calcio poi c’è un’esondazione di “serenità”: fra calciatori multati e allenatori in partenza per Dubai, presidenti in bancarotta e arbitri fallaci, sarà il verde dei campi, noto colore distensivo, la categoria è costantemente serena.

Questa bulimia semantica dell “io sono sereno” ripetuta in circostanze disparate non pare la condivisione spontanea e sincera di uno stato d’animo ma ricorda più il tentativo goffo di rassicurare il pubblico scandendo la formula magica che dovrebbe provocare un incantesimo: se sono sereno io, potete stare sereni anche voi. Scacciate qualsiasi pensiero cattivo, il mantra è se-re-ni-tà. Purtroppo però la stessa parola replicata in successione diventa inevitabilmente una catena di suoni che niente ha a che fare con il significato intrinseco, in quanto il nostro cervello è abituato a tradurre il suono in un’idea, ma se si stanca a causa dell’uso smodato della medesima parola perde la capacità di attivare i neuroni e non è più in grado di afferrarne il senso. Questo fenomeno psicologico si chiama sazietà o saturazione semantica ed è il rifiuto di attenzione verso parole o concetti ripetuti ossessivamente. Drupi in anni non sospetti ha intitolato una canzone “sereno è” e ne illustrava correttamente il perché: “rimanere a letto ancora un po’ e sentirti giù in cucina che prepari il mio caffè”. Ecco, lui sì che poteva dire “sono sereno”.


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