Economia

Il conto di guerra e pandemia: spesa alimentare su del 30%

di Giovanni Vasso -

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Care, carissime, ci costano la pandemia prima e la guerra poi: dal 2019 a oggi la spesa alimentare, il prezzo del cibo, per le famiglie italiane è salito del 30,1%. E dobbiamo pure farcelo andar bene perché, nel resto d’Europa, le fiammate del carovita scatenato dal combinato disposto dei lockdown e delle sanzioni sul fronte ucraina hanno causato rincari ancora più rilevanti. Col rischio, adesso, che per gli squali dell’economia di guerra (se non ci siamo già dentro, in fondo, ci siamo fin troppo vicini) possano trovare ulteriori giustificazioni a una raffica di aumenti che sta letteralmente dissanguando le famiglie. I dati arrivano direttamente dall’Istat che, nella sua ultima nota sull’andamento dell’economia italiana, snocciola cifre e numeri che farebbero impallidire chiunque.

Spesa alimentare, in Europa va pure peggio

Stando all’analisi pubblicata da via Cesari Balbi, in Europa, la media dei rincari sugli alimentari è pari addirittura al 39,2 per cento. Si tratta di una media che deve tener conto dei dati provenienti dai singoli Paesi membri. L’Italia, per esempio, ha visto appesantirsi la spesa alimentare di quasi un terzo rispetto a sei anni fa: si spende adesso il 30,1 per cento in più rispetto al 2019. Va (molto) peggio in Germania e Spagna dove la spesa alimentare è rincarata, rispettivamente, del 40,3% e del 38,2 per cento. Meglio di tutti, almeno dei più grandi Paesi Ue, ha fatto la Francia dove il carovita alimentare s’è stoppato al 27,5%. Il guaio, però, andrebbe ricercato nel fatto che, come avvertono gli analisti Istat, il prezzo dei beni alimentari sia tornato a salire ad agosto e lo abbia fatto di quasi mezzo punto percentuale. I rincari, dall’inizio del 2025, assommano all’1,4% mentre, sui dodici mesi, gli aumenti sono pari al 4 per cento. Va da sé che aumenti tanto pesanti abbiano inciso, e continuino a farlo, sul carrello della spesa. Del resto, in generi alimentari se ne va l’88% della spesa di alto consumo e quotidiana. In estate, tra luglio e agosto, l’aumento dei prezzi ha afflitto le famiglie. Che adesso, sempre di più (sono il 45,6%), si affidano alla speranza che, prima o poi, l’inflazione rientrerà e torneranno i tempi in cui andare a fare la spesa era ancora una gioia e non una passeggiata verso il patibolo.

Il boom della farmaceutica

Qualche buona notizia, però, c’è. E riguarda la crescita dell’occupazione che, per l’Italia, dimostra la solidità di un fondamentale economico decisivo per il futuro del Paese. Rimangono, al solito, i nodi del lavoro mentre tra le imprese la fiducia si stabilizza ma non su livelli altissimi. Il dramma è che cedono le esportazioni verso la Germania (da cui il sistema produttivo italiano è sostanzialmente dipendente in molti settori). Berlino è in crisi, è un dato di fatto. Intanto le nostre imprese fanno affari con la Spagna (+13,8%) e con la Francia (+2%). Ma occhio alla crisi politica e istituzionale, spia di un profondo malessere economico, che si vive a Parigi e dintorni. Naturalmente i numeri più interessanti sono quelli che riguardano l’interscambio con gli Stati Uniti, a maggior ragione adesso che entreranno in vigore i dazi fortemente voluti da Donald Trump e supinamente accettati da Ursula von der Leyen. Le cifre sembrano contraddittorie. Crollano bevande (-2,7%, da +13,9%), di macchinari (-9,7% da -8,4%) e mezzi di trasporto (-35,8% gli autoveicoli, dal +9,2% precedente; -6,5%, da +15,9%, gli altri mezzi di trasporto), rallenta la crescita dell’export di beni alimentari (+1,1%, da +9,2%). Boom, invece, per la farmaceutica che, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mette a referto un aumento delle esportazioni pari al 60 per cento. Niente di cui stupirsi, però. Da un lato c’è un comparto, quello farmaceutico, che vale e sa farsi valere nel mondo. Dall’altro c’è stata la grande paura delle tariffe a spingere gli importatori americani a pigiare, a fondo, il pedale del gas degli acquisti dalle aziende italiane.

Non ditelo a Lagarde

Infine, un capitolo a parte lo merita l’energia. L’Istat ha messo nero su bianco una considerazione che, per carità, sarebbe meglio nascondere a Christine Lagarde e soci che, per mesi, si sono sgolati affinché gli Stati negassero bonus alle famiglie. Ecco, se non ci fossero stati, molto probabilmente, le cose sarebbero andate molto peggio. Ma i sostegni non hanno raggiunto tutte le famiglie che ne avrebbero avuto diritto dal momento che, per molti cittadini, è stato fatale sbattere contro il muro della burocrazia. Stufi e stanchi, in tanti hanno deciso di non presentare Isee e di non impegnarsi nel defatigante compito di produrre le carte su cui si regge questo Paese di papeleros. Col risultato che i bonus son rimasti lettera morta e le famiglie hanno perso ulteriore denaro.


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