Drone dopo drone, di sconfinamento in sconfinamento, aumenta il pericolo di un’escalation militare tra Nato e Russia. Le segnalazioni sono all’ordine del giorno. Velivoli a pilotaggio remoto non identificati hanno sorvolato la base militare di Mourmelon-le-Grand, dipartimento della Marna, nord-est della Francia, nella notte tra domenica e lunedì scorsi. Fonti militari locali all’agenzia di stampa Afp, hanno precisato che si è trattato di velivoli di piccole dimensioni, “non di droni pilotati da personale militare”. Dei caccia russi (un Su-30, un Su-35 e tre MiG-31) si sono avvicinati, invece, allo spazio aereo lettone. Il comando aereo alleato ha fatto sapere che due caccia ungheresi Gripen dell’Air policing sul Baltico sono decollati dalla base Siauliai, in Lituania.
I droni in Danimarca
Gli aeroporti nella Danimarca occidentale sono stati riaperti ieri dopo essere rimasti chiusi per ore a causa dell’ingresso di droni non identificati nel loro spazio aereo durante la notte precedente. La polizia ha descritto l’accaduto come il più grave “attacco” mai avvenuto alle sue infrastrutture critiche, collegandolo a una serie di presunte incursioni russe. L’ambasciata russa a Copenaghen ha “respinto fermamente” le accuse di un coinvolgimento di Mosca etichettando tutto come una “inscenata provocazione”.
Le autorità danesi hanno fatto sapere di ritenere che vi siano “attori professionisti” dietro a quello che viene considerato “un attacco ibrido”. Il ministro della Difesa danese, Troels Lund Poulsen, non si è sottratto al pericoloso gioco dei sospetti e delle allusioni. Il ministro della Giustizia, Peter Hummelgaard, ha reso noto che le forze armate stanno cercando di acquisire capacità maggiori per “individuare e neutralizzare droni”.
La benzina sul fuoco di Rutte
Puntuale come un orologio svizzero è arrivato l’intervento del Segretario generale della Nato, Mark Rutte, che si è detto totalmente d’accordo il presidente statunitense Donald Trump sull’abbattimento dei jet russi che sorvolano lo spazio aereo dell’Alleanza. L’ambasciatore russo in Francia, Alexey Meshkov a una domanda sull’uscita di Trump si è limitato a rispondere: “Se accadesse sarebbe guerra”. Un aspetto, quest’ultimo, che evidentemente continua a sfuggire a tanti ultras dell’abbattimento compulsivo.
Lo stallo nei negoziati
I miglioramenti nelle relazioni tra Usa e Russia si sono fermati. Donald Trump, parlando ai giornalisti nello Studio Ovale affianco all’omologo turco Recep Tayyip Erdogan ha detto di essere “molto deluso da Putin”. Dopo aver sciorinato numeri e cifre del non dimostrato “insuccesso” militare russo Ucraina, ha aggiunto che è ora di “fermarsi”. Il tycoon ha fatto riferimento al rispetto che Putin e Zelensky nutrono per Erdogan, evidenziando tuttavia la scelta di quest’ultimo di voler essere neutrale. Il presidente statunitense ha auspicato che il suo omologo turco possa smettere di acquistare gas e petrolio dalla Russia. Cosa che Ankara non prenderà minimamente in considerazione.
L’annuncio di Zelensky
Volodymyr Zelensky ha affermato di non avere intenzione di rimanere alla guida dell’Ucraina una volta finita la guerra. Al giornalista Barak Ravid su “The Axios Show”, poco prima di lasciare New York dopo l’intervento all’Assemblea generale dell’Onu per fare rientro a Kiev, ha anche promesso di chiedere al Parlamento ucraino, in caso di cessate il fuoco, di organizzare le attese elezioni, rinviate a causa del conflitto. Zelensky sa bene che Washington e Londra lavorano da tempo alla sua sostituzione. L’uomo individuato è Valery Zaluzhny, ex comandante ucraino e poi ambasciatore in Inghilterra.
La giravolta di Trump e il pericolo della guerra
Negli Stati Uniti tiene banco la questione della virata trumpiana sulla cessione dei territori ucraini alla Russia. Per il Wall Street Journal, l’Ucraina sarebbe pronta a sferrare una offensiva contro la Russia per cui sarebbe necessario il sostegno degli Stati Uniti. La testata ha menzionato elementi di intelligence forniti al presidente americano, e forse alla base delle sue ultime esternazioni circa la capacità di Kiev di ribaltare il corso del conflitto.
Per il Washington Post, invece, l’apparente cambio di posizione del leader del GOP in favore degli ucraini, è “una tattica negoziale” tesa a fare pressioni sul Cremlino. Nell’uno o nell’altra caso non si tratta sicuramente di un buon segnale. I rapporti si sono raffreddati e nel blocco Nato c’è chi soffia sul fuoco della guerra. A New York si stanno palesando solo spaccature, con vecchi e nuovi rancori che non favoriscono il raggiungimento di “equilibri” necessari a scongiurare il ricorso alle armi.