Cronaca

Spy Story Mps

di Rita Cavallaro -


Un colpo di scena che alimenta l’ipotesi del complotto, in una delle vicende in cui si mescolano soldi, sesso e politica. E allora la morte di David Rossi, il capo della comunicazione di Monte dei Paschi di Siena che il 6 marzo 2013 morì dopo un enigmatico volo dalla finestra del suo ufficio, riapre interrogativi inquietanti che non puntano alla chiusura del caso come suicidio, ma trovano terreno fertile nei dubbi. Interrogativi che, fin dal primo giorno, hanno alimentato il mistero sulla possibilità che David non si sia tolto la vita, ma sia stato ammazzato da qualcuno che voleva chiudere la bocca al manager di Mps.
D’altronde, in quel momento, la banca diventata il simbolo del disastro Pd per la sconsiderata gestione finanziaria che negli ultimi 13 anni ha bruciato quasi 30 miliardi, navigava già in acque agitate. E forse Rossi voleva parlare, denunciare qualcosa e qualcuno e far scoppiare uno scandalo politico che doveva essere evitato a tutti i costi. Peccato che chi potrebbe aver tappato la bocca al manager ha compiuto così tanti errori che quello stesso suicidio, inspiegabile per la famiglia e per gli amici, è diventato lo scandalo.
Che più di qualcosa non abbia funzionato, neppure nel corretto svolgimento dell’inchiesta che avrebbe dovuto chiudere il caso, lo dimostrano le incredibili iscrizioni nel registro degli indagati dei tre pm dell’area di sinistra titolari del fascicolo sulla morte di David Rossi. Magistrati che, secondo la Procura di Genova, avrebbero manipolato delle prove. Reperti che, magari, avrebbero potuto fare la differenza nell’iter investigativo. Si tratta di Nicola Marini, Aldo Natalini e Antonino Nastasi, che ora dovranno rispondere del reato di falso aggravato. Nel nuovo fascicolo contro i tre magistrati viene contestata la mancata verbalizzazione della perquisizione, con annessa ispezione informatica e sequestro, della stanza usata da Rossi nella sede senese di Mps. In particolare gli indagati, nel verbale del 7 marzo, “omettevano di attestare che nelle ore precedenti, e in particolare dalle 21,30 sino a circa mezzanotte del giorno precedente, avevano già fatto ingresso nella predetta stanza”, si legge nel capo d’imputazione, “prima che la stessa venisse fotoripresa dal personale della polizia scientifica”. Ed è in quell’occasione che, per gli inquirenti, avrebbero “manipolato e spostato oggetti senza redigere alcun verbale delle operazioni compiute e senza dare atto del personale di polizia giudiziaria che insieme a loro avevano proceduto a questo sopralluogo”. Una questione non da poco, che dimostra che la scena del crimine è stata inquinata, come d’altronde aveva sostenuto, dopo 8 anni di silenzio, Pasquale Aglieco, 59 anni, ex comandante provinciale dei carabinieri di Siena, ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta istituita dopo che il decesso del manager è stato archiviato per ben due volte come suicidio.
A Palazzo San Macuto Aglieco ha fatto le rivelazioni choc che hanno portato al fascicolo di Genova. Secondo l’ex comandante provinciale, i pm Nastasi, Marini e Natalini sarebbero entrati ore prima della Polizia Scientifica nell’ufficio di Rossi e, senza neppure mettersi i guanti, avrebbero toccato il suo pc, rovesciato il contenuto del cestino sulla scrivania, sulla quale, tra l’altro, fu trovato in bella vista un bigliettino con sopra scritto il numero di telefono di Ettore Gotti Tedeschi, allora a capo dello Ior. I magistrati avrebbero inoltre chiuso la finestra e risposto al cellulare di Rossi mentre il corpo era da poco precipitato dalla finestra. “Nastasi si è seduto sulla sedia di Rossi e ha acceso il computer”, ha raccontato il comandante, muovendo il mouse con una penna. Un altro pm avrebbe “preso il cestino svuotandolo sulla scrivania” e dentro c’erano “fazzolettini sporchi di sangue” e “i bigliettini” di addio che avrebbero spinto verso la tesi del suicidio, alla quale la famiglia di Rossi non ha mai creduto. Addirittura “mi sembra Nastasi”, sostiene Aglieco, rispose alla telefonata, arrivata sul cellulare del manager, di Daniela Santanchè, la quale aveva rivelato come qualcuno le rispose ma non parlò, pochi minuti dopo la morte di David. E ora i tre magistrati verranno ascoltati dai colleghi di Genova e dovranno dare risposte a interrogativi non da poco, come il perché fossero lì subito dopo l’incidente, il motivo per cui magistrati esperti di procedure investigative si siano addentrati nella stanza senza sigillare la scena del crimine e inquinato i reperti. Circostanze che alimentano il mistero che Rossi volesse rivelare qualcosa di compromettente su Mps, celato nel suo computer o tra i bigliettini, e che per questo sia stato ucciso. Resta il fatto che secondo la maxi perizia del Ris, l’ipotesi “più compatibile” è il suicidio, ma l’inquinamento delle prove potrebbe creare una cortina fumogena sull’accertamento della verità.
Tanto più che, secondo le conclusioni della Commissione parlamentare, “sono emerse alcune circostanze che meritano di essere tratteggiate. Conviene muovere dal tema dei cosiddetti festini poiché è da qui che sono scaturiti i maggiori sospetti e punti d’ombra sull’operato dei magistrati che si sono occupati della prima indagine”. Festini gay a base di sesso e droga a cui avrebbero preso parte importanti personalità di Siena, tra cui politici, magistrati e prelati, e che avrebbero un legame con la morte del manager di Mps. Sull’apertura del fascicolo è intervenuto Matteo Renzi: “La procura di Genova apre un’inchiesta sui pm senesi del caso David Rossi. Dopo 10 anni. Ma per un garantista questo non è il punto. Chi ha fatto quelle indagini a Siena si deve solo vergognare. Nell’edizione aggiornata de Il Mostro spiego il perché”.


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