Attualità

Stalker, un termine comune

di Redazione -

Stalking


di Elisabetta Aldovrandi

“Stalker”. Un termine entrato nel linguaggio comune, tanto da essere spesso utilizzato in contesti scherzosi e amichevoli. In realtà, lo “stalking” è un reato, introdotto con la legge n. 38 del 2009, e consiste in ripetute condotte di minaccia o di molestia che provocano degli effetti sulla vittima, come ansia, paura o timore per la propria incolumità, al punto da indurla a cambiare abitudini di vita. Ma in cosa consistono queste condotte?

Comunicazioni indesiderate, come l’invio di mail o messaggi, non solo alla vittima ma anche a suoi amici o parenti. Oppure, tentativi di avvicinamento, con pedinamenti, appostamenti sotto casa o davanti al luogo di lavoro o nei posti abitualmente frequentati.

Infine, vi sono i comportamenti “associati”, come far recapitare oggetti a casa della vittima per intimidirla e insinuarle il dubbio che l’autore di quelle azioni sia a conoscenza degli aspetti più riservati della sua vita. Ma chi è lo stalker? Non sempre è un ex o un corteggiatore respinto. A volte è una persona sconosciuta. Lo stalker può ricercare intimità con la sua vittima, credendosi innamorato e pensando che, insistendo fino allo sfinimento, riuscirà a conquistarla. Senza che questa neppure sappia della sua esistenza.

Talvolta può anche diventare violento: è il caso di chi vede nella vittima il bersaglio su cui riversare frustrazioni e avere rivalsa delle ingiustizie (immaginarie o reali) subite. Alla base di simili comportamenti c’è la difficoltà a gestire le proprie emozioni, e l’incapacità di vedere la vittima come una persona che ha il diritto di esprimere un legittimo rifiuto. Tuttavia, la presenza di un disturbo della personalità non coincide per forza con l’incapacità di intendere e di volere.

Solitamente lo stalker è pienamente in grado di comprendere il disvalore morale e giuridico delle sue condotte, da lui giustificate con il fine ultimo della conquista della persona “amata” o della vendetta per un torto subìto. Fino al 2019, quando entrò in vigore il Codice Rosso, le condanne per questo tipo di reato non avevano come aspetto principale la riabilitazione del colpevole, che una volta scontata la condanna tendeva a ripetere il reato commesso.

Da tre anni, invece, chi viene denunciato non soltanto rischia di essere sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento e, nei casi più gravi, agli arresti domiciliari col braccialetto elettronico o alla custodia cautelare in carcere, ma se condannato può ottenere la sospensione condizionale della pena, se prevista per legge, solo se si sottopone a un trattamento di recupero.
Questa norma, sulla quale in audizione in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati insistetti personalmente, rappresenta un mezzo di sostegno e aiuto alla riabilitazione per chi commette gravi reati lesivi dell’incolumità altrui, psicologica o fisica, e fornisce tutela anticipata alla vittima, spesso lasciata sola ad affrontare situazioni i cui segnali di pericolosità sono a volte difficili da interpretare.

Peraltro, con l’entrata in vigore del Codice Rosso, le denunce per stalking sono aumentate: secondo i dati del Ministero dell’Interno si è passati dalle 16065 del 2019 alle 17539 del 2021.

Se si mettono in campo strumenti efficaci, dunque, le persone ritrovano fiducia nelle istituzioni. Ma le dinamiche relazionali devono improntarsi al rispetto verso l’altro, che va appreso da bambini. Lo stalking, del resto, nulla ha a che vedere con l’amore.


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