Attualità

STAND BY SANITÀ

di Eleonora Ciaffoloni -


Una sanità fuori tempo massimo toglie ai cittadini il diritto a curarsi. Succede in Italia e oramai, purtroppo, non è una novità. A preoccupare sono sì i dati che raccontano la malagestione, ma anche e soprattutto la mancanza di una prospettiva di cambiamento, che almeno per ora sembra non vedersi. Cittadini che aspettano mesi per una visita di controllo, medici di base che nelle regioni aspettano di essere collocati, farmacie che attendono i farmaci e i dispositivi medici carenti e le stesse aziende sanitarie che con il payback “sospes”o aspettano di scoprire cosa gli riserverà il futuro.

TEMPI BIBLICI

Lo standby della sanità colpisce al cuore della società, ovvero sui cittadini, che al momento di una prenotazione per una visita o per un esame sanno già che a dividerli dall’incontro con lo specialista di turno potrebbero passare mesi. Se non anni. Difatti, le liste di attesa si sono allungate in maniera ingravescente, raggiungendo tempi infiniti: secondo i dati del “Rapporto civico sulla salute” di Cittadinanzattiva, nel 2021 l’attesa per una Tac e un’ecografia è arrivata fino a un anno, mentre si aspettano cento giorni per una colonscopia e più di due mesi per una visita oncologica. Ad avere la peggio, però, sono le visite per una mammografia, per cui si è aspettato – record negativo – fino a 720 giorni. Un’odissea dai numeri impressionanti che porta, come conseguenza, la rinuncia alle cure per un italiano su dieci. Perché se molti cittadini per aggirare la problematica delle tempistiche virano sulle visite private – nel 2021 gli italiani hanno speso nella sanità provata oltre 37 miliardi di euro – altri non hanno la possibilità economica per accedervi e rimangono orfani non solo del diritto ad essere curati, ma anche del benessere psicofisico.

ASSISTENZA SOLD OUT

In attesa, oltre ai cittadini, ci sono anche le strutture e le figure predisposte alla cura delle persone. Parliamo dei medici di base, il primo e più prossimo riferimento per il cittadino, e del comparto farmaceutico, alle prese con una carenza di medicinali mai vissuta – neanche in pandemia. Guardando ai numeri, la Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) denuncia che quasi due milioni di cittadini rimarranno senza medico di famiglia e che oltre cinquemila medici non potranno più garantire l’assistenza negli ambulatori territoriali di Continuità assistenziale e lasceranno vacanti centinaia di presidi di emergenza territoriale. La causa si ritrova nell’errore interpretativo fatto da alcune Regioni che hanno impedito ai medici in formazione di assumere incarichi provvisori e di sostituzione di medicina generale, come invece deciso nella legge del 2018 che permetteva – in deroga alle incompatibilità precedenti – di assumere incarichi convenzionali. La giustificazione? Una norma poco chiara.
Altro numero che spaventa è quello dei medicinali mancanti, che continua a salire giorno dopo giorno arrivando – a oggi – a oltre 3200. Tra questi ci sono gli antinfiammatori, antipiretici, alcuni antibiotici, cortisonici per l’aerosol, prodotti per la tosse, ma anche farmaci antipertensivi e antiepilettici. La produzione è rallentata, la richiesta è alta e farmacisti e medici di base, in attesa di una soluzione, devono sopperire alle mancanze nella cura dei cittadini.

PAYBACK SOSPESO

Infine, in attesa di risposte sul proprio destino, ci sono le aziende, gli operatori e i lavoratori delle aziende produttrici di dispositivi medici che ieri si sono riuniti a Roma in una protesta per chiedere l’abolizione del payback sanitario. Si tratta dello strumento – in piedi dal 2015 ma mai applicato fino al governo Draghi – che costringe i fornitori dei dispositivi medici a restituire parte dei pagamenti ricevuti dalle Regioni che hanno comprato i loro prodotti eccedendo i tetti di spesa. “Un meccanismo – denuncia il presidente di Pmi Sanità Gennaro Broya – che vuol far pagare alle aziende italiane gli sprechi e gli errori delle Regioni incapaci di fare i conti e programmare la loro Sanità”. Una cifra che si attesta intorno a due miliardi e 200 milioni di euro che con l’applicazione dello strumento, porterebbe conseguenze economiche e occupazionali gravissime su tutto il settore industriale e sulla salute dei cittadini italiani. Proprio per questo, il governo si è indirizzato verso la proroga della misura, fino al 30 aprile. Ma non basta: per quella data, la condizione del comparto non sarà cambiata e, pertanto, la richiesta nei confronti dell’esecutivo è proprio quella di abolire definitivamente questa misura. Intanto si sospende la “pena” per altri quattro mesi e si rimane in attesa. Ma forse serve un miracolo.


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