Politica

Stefani: “Meloni abbia coraggio e trovi coesione politica. Questa riforma funziona e renderà più forte il Paese”

di Ivano Tolettini -

ERIKA STEFANI SENATRICE POLITICO


“Il principale ostacolo all’autonomia differenziata? Politico. Attuare l’articolo 116, comma terzo, della Costituzione comporta conseguenze. Chi le legge come potenzialmente dannose per alcune regioni non conosce il meccanismo federalista. Saranno decisivi coraggio politico e coesione della maggioranza per attuare quanto previsto dalla Carta dagli italiani. Questa riforma modificherà in modo virtuoso i rapporti tra centro e periferia, e dei cittadini con i propri rappresentanti, locali e nazionali”. La senatrice leghista Erika Stefani, 51 anni, ministra agli Affari Regionali nel Conte 1, di federalismo parla con cognizione di causa.

 

Non avete più alibi se non fate l’autonomia, vista la solida maggioranza che avete. Se non ora, quando?
Nel marzo 2019, nei giorni in cui perdevo mio papà Giovanni, ero davvero convinta eravamo arrivati in porto. Invece è saltato il banco perché siamo andati al vedo e il M5S ha opposto nei fatti era uno sbarramento politico. Ma la questione è un’altra.

 

Quale, senatrice?
Poiché non è una riforma qualsiasi, ma comporta la diversa modalità di erogazione delle risorse, per attuarla si passa per i fabbisogni standard. Cioè un’amministrazione eroga un servizio a un determinato livello, ecco i Lep, e ad un costo dato.

 

Un cambiamento mica da poco. Ecco le resistenze.
Chi teme questi tipi di vincoli a volte non amministra in modo edificante. L’obiettivo dell’autonomia non è di spaccare il Paese, ma di renderlo più efficiente, senza lasciare indietro nessuno. Il principio solidaristico della Costituzione rimane inalterato.

 

Ci sono nodi tecnici che passano per una burocrazia efficiente.
Soprattutto a livello regionale, perché lo Stato sulle materie richieste se ne spoglierà. Dipenderà su quali materie l’autonomia inciderà. A livello regionale ci si dovrà chiedere se si hanno le strutture per attuarla? Queste competenze sono concorrenti, nel senso che potrebbero passare in maniera esclusiva alla regione ambiti in cui l’ente locale è già impegnato.

 

Il fatto che alcune regioni chiedano l’autonomia su alcune materie – Veneto e Lombardia ne hanno chieste ad esempio 23 – e altre ne chiedano meno, potrebbe a livello attuativo o di distribuzione delle risorse creare disuguaglianze territoriali?
No. Su determinate materie anziché fare un po’ lo Stato e un po’ la regione, col rischio attuale delle impugnative del Consiglio dei ministri quando si ritiene ci sia la lesione costituzionale, sarà solo l’ente regionale e lo Stato sarà alleggerito. Piuttosto vedo un altro rischio.

 

Quale?
Che materie simili siano disciplinate in modo diverso. Questa è la vera sfida.

 

Come la fissazione dei “livelli essenziali delle prestazioni”, i Lep, entro il 2023.
I Lep sono un meccanismo di garanzia per il cittadino, l’asticella sotto la quale quel servizio non potrà essere erogato. Saranno stabiliti per legge. È una competenza specifica centrale.

 

Come si fissa Il meccanismo di finanziamento?
Se la Regione X chiede l’autonomia su alcune materie, lo Stato fornisce le risorse minime partendo dalla spesa storica e poi si elaborano i fabbisogni standard per quel servizio che devono essere uguali dappertutto. E’ un lavoro fine, delicato
Ci saranno materie per le quali bisognerà fissare i Lep e altre no?
Certo, dipenderà anche dall’impatto sociale effettivo.

 

Che cosa teme?
Un ideologismo pregiudiziale a base di slogan per boicottare la riforma.

 

La paura del Sud è che l’autonomia avvantaggi ulteriormente il Nord.
Ma l’autonomia non attribuirà più risorse a determinate aree a detrimento di altre. E poi ci sarà la spesa storica fino alla quantificazione dei fabbisogni standard. Piuttosto temo l’invidia sociale.

 

Cioè, senatrice?
Non si vuole che un’altra regione abbia la possibilità di aumentare il proprio Pil. L’autonomia permetterà di fornire servizi migliori ai cittadini. Del resto in tutti i contesti mondiali federali ci sono zone differenziate, con regioni più trainanti, perché hanno avuto una storia diversa. Ma questo succede già adesso anche in Italia. E se l’autonomia aiutasse a colmare le differenze nel Paese? Il Sud ha le risorse per migliorare e lo Stato centrale non sparirà. Ci saranno le perequazioni. Come ha detto la premier Meloni nessuno verrà lasciato indietro.

 

La riforma del titolo V risale al 2001.
Per questo su ogni singola materia bisognerà fare un ampio ragionamento nel rispetto della Costituzione che è la nostra Bibbia. Alla base, ripeto, ci devono essere volontà e coesione dei partiti per legiferare. Spero non prevalga la paura di perdere consenso. Sarebbe grave. Vorrebbe dire che in Italia non c’è la volontà di migliorare l’allocazione delle risorse.

 

A Calderoli che cosa consiglia?
Roberto conosce troppo bene la politica e i meccanismi del palazzo perché abbia bisogno dei miei consigli. Devono essere i leader di partito ad essere chiari sui propri obiettivi.

 

La tempistica della riforma?
Saranno decisivi i primi due anni.

FdI ha un’impostazione centralista. Ha raccolto un ampio consenso al Nord, svuotando la vostra proposta politica, ma più osservatori dicono che frenerà sull’autonomia.
Penso che sia un’opportunità e un dovere per Meloni e il suo partito per il consenso ricevuto al Nord. È stata aperta una linea di credito. Il problema non è il regionalismo ma come vengono amministrate le regioni. Il federalismo aiuterà a rimuovere le attuali macroscopiche differenze tra aree. Con più assunzione di responsabilità.

 

In conclusione, qual è il pregiudizio principale alla riforma?
Di tipo culturale. Di quella politica che ripete che il Sud è penalizzato ed è dimenticato da Roma. Sono convinta che l’autonomia sarà balsamica per l’Italia.


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