Editoriale

Storica sentenza della Corte Suprema USA sull’aborto: l’America si spacca

di Alessandro Sansoni -


È un’America sempre più spaccata quella che ci si presenta dinanzi agli occhi all’indomani della decisione della Corte Suprema che ha abolito la storica sentenza “Roe vs. Wade”, con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l’aborto negli Stati Uniti.

Una notizia bomba che ha scatenato la polemica politica, con il fuoco incrociato di dichiarazioni e controdichiarazioni rilasciate alla stampa da tutti i leader Democratici e Repubblicani e che arriva a pochi giorni da un’altra clamorosa presa di posizione della stessa Corte che ha bocciato le limitazioni dello Stato di New York sul porto d’armi.

Al di là del merito della questione, salta all’occhio anche la tendenza della Corte a trazione trumpiana – sei giudici conservatori contro tre liberal – a non intromettersi nelle prerogative dei singoli Stati, in una sorta di riedizione della battaglia tra federalisti e confederalisti, sempre latente nel dibattito costituzionale americano.

Una conferma clamorosa di quanto sostengono numerosi osservatori della realtà statunitense statunitense, oramai sempre più lacerata e polarizzata, nei palazzi del potere, come tra la gente comune, al punto da far pensare ad una guerra civile (fortunatamente) a bassa intensità, che tocca svariati ambiti, da quello del diritto pubblico, a quello più squisitamente politico e che tracima nella divaricazione tra blocchi sociali (con una working class sempre più insofferente verso Washington e Wall Street), fino ad arrivare ad un vero e proprio conflitto ideologico duro e insanabile, che si ripercuote negli orientamenti dei singoli Stati. Un aspetto, quest’ultimo, particolarmente preoccupante e che rischia di sfociare in istanze secessioniste.

Gran parte di questo scontro sordido che separa l’”America profonda” da quella metropolitana californiana e newyorkese si catalizza attorno alla figura dell’ex presidente Donald Trump, come dimostrano le vicissitudini della sua presidenza, le polemiche senza precedenti che hanno caratterizzato le ultime elezioni presidenziali, sfociate nello stupefacente assalto a Capitol Hill, i cui strascichi giudiziari e congressuali, con la straordinaria attenzione rivolta dall’opinione pubblica alle indagini della commissione d’inchiesta istituita dal Congresso, costituiscono lo sviluppo più recente, ma probabilmente non l’ultimo.

Il ciuffo biondo di Trump esula dal personaggio e ha finito per incarnare il risentimento dei ceti medi impoveriti dalla globalizzazione e dalle delocalizzazioni, la rabbia del sottoproletariato, la voglia di rivalsa degli imprenditori e dell’economia reale nei confronti della finanza e della burocrazia, fino a diventare il portabandiera delle storiche libertà americane da una parte (quelle degli Stati, come quelle degli individui) e dei valori religiosi cristiani tradizionali dall’altra.

La lotta oramai è senza quartiere e riguarda soprattutto le convinzioni più profonde delle singole persone, come accaduto nei mesi della pandemia sui temi delle restrizioni e dei vaccini, al punto che secondo alcuni sondaggi oramai è più facile che si sposino negli USA due persone di etnie diverse, piuttosto che un repubblicano e una democratica e viceversa.

Tutto questo mentre si avvicinano le elezioni di MidTerm, che si annunciano infuocate. Chi credeva che Biden avrebbe ricomposto le spaccature della politica americana, dovrà ammettere che da questo punto di vista ha miseramente fallito.

L’errore è stato ritenere che il problema fosse una persona e non il sentire diffuso di cui Trump si è fatto simbolo e portavoce.

Alessandro Sansoni


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