Attualità

Strage di Bologna, 45 anni dopo quel 2 agosto 1980

di Flavia Romani -


Bologna, 2 agosto 1980. Ore 10:25. Una valigia piena di tritolo e T4 esplode nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione centrale. L’impatto è devastante: 85 persone perdono la vita, oltre 200 restano ferite. La deflagrazione travolge il treno Ancona–Chiasso, fermo sul primo binario, e fa crollare una trentina di metri di pensilina. Le macerie seppelliscono viaggiatori, lavoratori, famiglie intere. È il più grave atto terroristico mai avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra, punto culminante della cosiddetta strategia della tensione.

In un primo momento, tra il caos e l’orrore, si parla di scoppio accidentale, forse una caldaia difettosa. Ma l’ipotesi dura poco: in quella zona non ci sono impianti simili, e le prime indagini confermano i timori peggiori. Si è trattato di un attentato con una bomba ad alto potenziale.

La città reagisce con forza. Medici, infermieri, vigili del fuoco, forze dell’ordine, militari e semplici cittadini si mobilitano senza sosta, in una catena di soccorsi spontanea. Saltano le linee telefoniche, ma i cronisti riescono a comunicare usando le cabine dei controllori degli autobus. In poche ore, Bologna si risolleva dal suo inferno.

Tra le immagini simbolo di quel giorno, ce n’è una che ha attraversato i decenni: l’orologio sul piazzale, fermo per sempre sulle 10:25. Ma anche il bus della linea 37, matricola 4030, diventato tragicamente celebre. Era un normale mezzo pubblico, trasformato d’urgenza in carro funebre per trasportare le vittime verso la Medicina legale. “Mi dissero di portare via i cadaveri con il bus”, ha raccontato l’autista Agide Melloni. “Ogni viaggio era una ferita. Ma non ero mai solo: qualcuno saliva sempre con me, solo per starmi vicino.”

Bologna, 2 agosto: le vittime

I nomi delle vittime compongono una lunga lista che colpisce nel profondo. Angela Fresu, tre anni, la più giovane. Poi Luca Mauri, sei anni, Sonia Burri, sette. I più anziani: Maria Idria Avati, 80 anni, Antonio Montanari, 86. Nelle sale d’attesa e al bar della stazione, persero la vita anche sei lavoratrici. I taxi parcheggiati fuori furono trasformati in bare di lamiere contorte. Era una strage trasversale: nessuno escluso.

Poche ore dopo l’esplosione, arriva a Bologna il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, visibilmente scosso. Quella sera stessa, Piazza Maggiore si riempie. Una marea silenziosa chiede giustizia e verità. Una mobilitazione popolare che richiama alla memoria un’altra strage estiva: quella dell’Italicus, 4 agosto 1974, dodici morti, quarantatré feriti. “Lo stesso copione che ha portato alla strage del 2 agosto è stato provato sull’Italicus”, dirà il sindaco Renato Zangheri durante i funerali.

Negli anni, ci sono state inchieste, depistaggi, condanne. La verità giudiziaria ha individuato in ambienti dell’estrema destra e in settori deviati dello Stato i responsabili. Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia Nazionale, è stato condannato in via definitiva all’ergastolo nel 2023. Recentemente, è stato aggredito in carcere. Ma nonostante tutto, molti aspetti della strage restano oscuri: chi sono tutti i mandanti? Quali complicità istituzionali ci sono state?

Ogni anno, Bologna torna a farsi memoria viva. Migliaia di persone marciano fino alla stazione per ricordare. Il presidente Sergio Mattarella ha parlato di una “ferita insanabile e un monito ai giovani”, mentre il Paese continua a chiedere ciò che ancora manca: la verità completa.


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