“Sud locomotiva del Paese”, ma quanti ostacoli all’orizzonte
La fine del Pnrr e l'avvio della rotta artica possono strattonare la corsa del Mezzogiorno
Il Sud è diventato la locomotiva del Paese. Giorgia Meloni lo ha scritto in un messaggio che ha indirizzato al Forum Cambio di Paradigma tenutosi a Napoli e organizzato da Il Mattino. Non è, poi, chissà che novità. La riscossa del Mezzogiorno è certificata dai numeri. La premier, da parte sua, gonfia il petto d’orgoglio riferendo al suo governo i risultati di una politica che, basata sulla Zes (che stando ai conti di Meloni ha generato un volume d’affari da 27 miliardi di euro), ha proiettato il Sud a crescere a ritmi più sostenuti rispetto a quelli tenuti dal Nord. A farle eco, più tardi, è arrivato il ministro all’Industria Adolfo Urso. Che, all’analisi della presidente del consiglio, ha aggiunto un ulteriore elemento: la direttrice di crescita per l’Italia non è più il Nord-Est bensì, appunto, il Mezzogiorno. Si tratta di un’affermazione alquanto importante. Perché presuppone due condizioni che, purtroppo per tutti, sembrano essersi verificate. Da un lato, infatti, c’è la questione del dialogo con la Germania. I tedeschi soffrono una crisi che a chiamarla stagnazione si fa solo un atto di pudore. E, dal momento che le imprese italiane nel corso dei decenni hanno preferito stringere accordi dentro le filiere del valore che fanno capo proprio a grandi industrie e poli produttivi tedeschi, va da sé che i problemi di Berlino siano diventati anche i nostri problemi. La seconda condizione che (non) si è avverata riguarda, appunto, la rotta dell’Est. Che avrebbe dovuto unire, direttamente, Italia e Ucraina. Come ribadito dallo stesso Urso poco più di un mese fa, Trieste sarebbe (e dovrebbe) diventare il porto di Kiev. Uno snodo focale per garantire un dialogo commerciale tra l’Italia e Horonda, in Ucraina, attraverso Slovacchia e Ungheria che, contestualmente, riporterebbe il porto giuliano ai fasti dei tempi asburgici. Il progetto, evidentemente, non ha ancora ingranato. Resta, quindi, il Sud. Su cui, però, gravano ben due Spade di Damocle. La prima è quella legata alla fine del Pnrr. Quando il piano terminerà, nel 2026, gli investimenti fatalmente caleranno. E, poiché il Sud aveva “fame” di fondi è pure normale che, rispetto ad altre aree del Paese, sia cresciuto più velocemente. La seconda questione, inoltre, è giusto un pelo più complessa. E riguarda il futuro del Mediterraneo. O meglio, il ritorno alla centralità del Mare Nostrum. Che, con il risveglio dell’ultimo gigante dormiente, ossia l’Africa, dovrebbe tornare a recitare un ruolo strategico nel dialogo commerciale. Che, stando a numerosi osservatori, non si svilupperebbe più (o quantomeno non solo) sulle rotte oceaniche est-ovest ma tornerebbe sull’asse Nord-Sud. Fatto, questo, che premierebbe l’Italia e, segnatamente, il Sud del Paese, Sicilia in testa, trasformandola in un’autentica locomotiva economica. Considerato che “l’asse di crescita europeo centro- orientale non c’è più”, perché come ha riferito Urso “un’altra cortina di ferro si è innalzata, fortunatamente a qualche centina di chilometri a oriente di Trieste ma impedisce una crescita attraverso la rotta orientale”, occorre notare come oggi “l’unico asse significativo di crescita per l’Europa è lungo la nostra Penisola ed il nostro Mezzogiorno, certamente elemento di congiunzione con l’Africa e verso il sud est-asiatico”. Prima, però, di parlare davvero di Rinascimento meridionale, prima ancora che di locomotiva Sud, proprio come ha fatto Urso, andrebbe tenuto ben presente ciò che accade nel resto del mondo. E, in particolare, proprio nel Sud-est asiatico. Già, perché solo qualche giorno fa s’è verificato un fatto che rischia di diventare un punto di svolta decisivo negli equilibri del mondo che verrà: nei giorni scorsi è attraccata, al porto di Danzica, la nave portacontainer Istanbul Bridge. E no, non si è trattato di un evento banale perché si tratta della prima imbarcazione a compiere il viaggio tra la Cina e l’Europa attraverso la rotta artica. Partita dallo Zhejiang, ha impiegato appena 26 giorni per arrivare nel Vecchio Continente. Ce ne vogliono, oggi, quaranta per arrivare dalla Cina all’Europa seguendo la rotta che passa da Suez (e quindi sfocia nel Mediterraneo) mentre ne occorrono cinquanta per farlo doppiando il capo di Buona Speranza. Si tratta, senza infingimenti, di una novità capace di rivoluzionare la logistica navale e di farlo mantenendo una sorta di continuità in cui il Nord Europa, rispetto ai porti del Sud, può continuare a mantenere una primazia strategica importante. Se le cose andassero proprio così, per il Mezzogiorno si tratterebbe di un duro colpo alle speranze di ritornare al centro del mondo. Sempre che, nel frattempo, l’Africa non si risvegli sul serio.
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