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SUL DDL ZAN “RIVINCITE” E PROVE GENERALI PER IL QUIRINALE

di Redazione -

A moment of the demonstration in favor of the Zan law, against homophobia, at the Arco della Pace, Milan, Italy, 08 May 2021. "This is a success for democracy that shows that Italy is a civilized country and the vast majority of people want a law that protects the most vulnerable people", said Alessandro Zan. ANSA/MATTEO CORNER


Il ddl Zan contro l’omotransfobia, già approvato alla Camera con largo margine, ha avuto la … sfortuna di arrivare nell’aula del Senato nel momento in cui la Destra, dopo lo scappellotto delle amministrative, ha avuto la possibilità di riprendersi una immediata “rivincita” e mentre i due schieramenti sono impegnati da tempo a posizionarsi in vista dell’elezione a febbraio del nuovo Presidente della Repubblica. Solo così si spiega l’atteggiamento di partiti che, anche con “l’ausilio” del voto segreto, si sono comportati in maniera difforme da quanto avevano fatto nel novembre dello scorso anno a Montecitorio. Pur nell’impossibilità di fare nomi e cognomi, sul banco degli imputati sono saliti Forza Italia, Italia Viva e parte degli ex renziani. La prima per non tradire il comune “fronte” concordato di recente da Berlusconi con Salvini e Meloni, il partito di Renzi per dimostrare di essere ancora l’ago della bilancia nella scelta del futuro inquilino del Quirinale, gli ex renziani per far fallire la strategia di Letta per la nascita di un nuovo Ulivo. E tutto questo – come in un thrilling – nel giorno in cui il sospettato “regista” occulto dell’affossamento del ddl Zan, Matteo Renzi, ha disertato l’aula di Palazzo Madama per trovarsi a Riad, capitale di un regime certamente non all’avanguardia sui diritti delle minoranze e degli omosessuali. Per una breve vacanza o per affari, non è dato sapere. E c’è chi non esclude addirittura lo scivolamento del senatore fiorentino in un’area confinante con Salvini. Diciamo che il provvedimento sull’omotransfobia è servito soprattutto per una prova generale in vista dell’appuntamento quirinalizio cui è legato l’eventuale prosieguo della legislatura per il quale fino a qualche mese fa Mario Draghi era l’unico candidato alla successione di Sergio Mattarella, notoriamente contrario ad un secondo mandato. Oggi però l’orientamento dei partiti è cambiato. Nel centrosinistra lo si vedrebbe bene ancora alla guida del governo mentre a Destra si valuta il trasferimento del Capo del governo al Quirinale come l’occasione “ghiotta” per andare, subito dopo, a nuove elezioni nella convinzione di vincerle. A chi fa questi calcoli poco importa che il Paese sia ancora in piena pandemia, che il governo in carica sia considerato dall’Europa come una garanzia per i soldi prestati, che il mondo produttivo e quello del lavoro richiedano certezze. No, a costoro interessa votare al più presto, nella quasi certezza, oggi, di sconfiggere l’avversario. Se serve interrompere l’azione di governo, pazienza! Ma c’è una subordinata non di poco conto. E qui interviene l’affossamento al Senato del ddl Zan: lasciare Draghi a Palazzo Chigi ma “impadronirsi” del Quirinale mandando al Colle una personalità che garantisca alla Destra le elezioni anticipate. E la novità è che il centrosinistra non ha i numeri per eleggere da solo il nuovo Capo dello Stato per cui i pretendenti diventano diversi, compresa quella Presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati che da sola, come da Regolamento, ha deciso per il voto segreto che ha affossato il provvedimento del deputato Alessandro Zan. Per ora i nomi restano coperti e tali resteranno fino al quarto scrutinio quando la Costituzione richiede una maggioranza più bassa. Solo un candidato, bruciando i tempi, si è però fatto avanti non nascondendo la propria ambizione: Silvio Berlusconi, forte anche della sentenza assolutoria del Ruby ter che lo ha rimesso in gioco. Se i favorevoli lo fanno soprattutto per cortigianeria o per “carineria”, e fra questi ci sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ben sapendo che sarà assai difficile vederlo sul Colle, i contrari vanno oltre. Non solo ne sostengono l’inopportunità ma ritengono che il Cavaliere, giuridicamente, non potrebbe mai diventare Presidente della Repubblica. Non è così. Se ci fossero i numeri, Berlusconi infatti, pur fortemente divisivo e “chiacchierato”, avrebbe le carte per succedere a Sergio Mattarella. E già questo sarebbe, di per sé, destinato ai più diversi paragoni tra l’ex ed il nuovo Inquilino. Ed il bello è che il Cavaliere ci crede davvero: “è l’ultima mia sfida, poi mollo tutto”, è la sua battuta-verità alla bella età di 85 anni. Ma andiamo con ordine. I “grandi” Elettori sono 1009 tra deputati (630), senatori (321 compresi i senatori a vita) e delegati regionali (38). Nelle prime tre votazioni – quando le carte sono ancora coperte e si presentano in genere candidature di bandiera – occorre una maggioranza di due terzi dell’Assemblea. A partire dal quarto scrutinio è richiesta invece la maggioranza assoluta, cioè la metà più uno dei votanti. Ed è qui che Berlusconi entra in scena. Mettendo insieme i voti di Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e dei delegati regionali del centrodestra, Il Cavaliere è convinto di poter contare – sempre che non ci siano franchi tiratori e che Salvini e Meloni non lo abbiano preso in giro – su di un consistente pacchetto di partenza con il quale negoziare quei 54 voti ancora necessari per raggiungere il quorum richiesto. Un “mercato” che più volte, soprattutto alla nascita della sua avventura politica, e… non solo, lo ha visto vincitore.

PdA


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