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Sulla rotta delle torture

di Domenico Pecile -


Torturati, umiliati, derubati. E ancora: confisca e distruzione di effetti personali, detenzione illegale in celle di isolamento, utilizzo di spray al peperoncino e gas lacrimogeni, percosse con manganelli e anche aggressioni con cani. Il tutto – per mano delle autorità di frontiera – avviene nel cuore dell’Europa, il continente dei diritti. È questa la sorte che tocca alle migliaia e migliaia di migranti e richiedenti asilo in marcia soprattutto verso Trieste, la Lampedusa del Nord. Una processione di disperati che in concomitanza con l’arrivo della bella stagione è ripresa in maniera esponenziale: a gennaio dello scorso anno tra rintracci e presentazioni spontanee negli uffici di polizia il numero di migranti della rotta balcanica non superavano i 150-170, in quello del 2023 è stata superata quota mille e la situazione sta peggiorando. Il teatro di queste violenze sono i Balcani, al confine serbo con l’Ungheria e la Bulgaria. La denuncia è di Medici Senza Frontiere che ha chiesto all’Ue un maggiore controllo. Molte violenza, tra l’altro, vengono perpetuate durante le cosiddette riammissioni, un termine edulcorato che nasconde una pratica che il diritto internazionale ha bollato come illegittima. “Le lesioni fisiche che vediamo – afferma Duccio Staderini, capomissione di Msf nei Balcani occidentali – e le testimonianze di brutalità che ascoltiamo dai nostri pazienti sono la prova del continuo uso internazionale della violenza per dissuadere le persone dal chiedere asilo in Europa”. Lo scorso 16 marzo il commissario europeo per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il nuovo direttore di Frontex (l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) hanno visitato il confine tra Horgos, i n Serbia, e Roszke, in Ungheria, dove si verificano regolarmente i violenti respingimenti da parte delle autorità di frontiera. “I rappresentanti dell’Ue – dice ancora Staderini – hanno intenzionalmente deciso di chiudere un occhio sull’uso della violenza di cui siamo testimoni alle frontiere esterne europee. Questa visita mostra il vero volto dell’impegno Ue nei Balcani occidentali: più fondi per la sicurezza, una maggiore presenza di Frontex e un aumento dei rimpatri e della sorveglianza”. Al confine tra Serbia e Ungheria, da gennaio 2021 a oggi, i team di Msf hanno curato 498 persone per lesioni da trauma, tra cui contusioni, ematomi e fratture causate dalle autorità di frontiera. Dal 2022, Msf ha effettuato 7.826 visite mediche nel Nord della Serbia. Dall’inizio del 2023 Msf è presente anche al confine tra Serbia e Bulgaria, a Pirot, dove ha trattato 1.944 pazienti che presentavano problemi legati soprattutto alle dure condizioni di viaggio come vesciche e lesioni cutanee, congelamento, infezioni ai piedi ferite infette, febbre e sintomi generali di stanchezza. “La situazione – aggiunge il presidente del Fvg del Consorzio italiano di solidarietà, Alfredo Schiavone – non è diversa sul confine croato-bosniaco. Ma tutte le frontiere esterne dell’Ue sono teatro di violenze inaudite, anche se negli ultimi mesi a Trieste arrivano meno migranti con segni di violenza e questo perché si tratta di quelli che non sono stati respinti ed è proprio questa categoria a subire le maggiori violenze” e perché dal primo gennaio la Croazia, con l’ingresso in Ue, ha cambiato atteggiamento. La situazione rimane comunque drammatica. Un recente reportage de “La vita cattolica” aveva testimoniato che a Zagabria e Fiume, a ridosso del confine con Trieste, centinaia di persone dormivano nella parte dismessa della stazione, sotto i treni in disuso. “Gli arrivi a Trieste – aggiunge Pier Paolo Zanussi, segretario provinciale del Siap – sono in costante aumento. Siamo soltanto in 14 e non abbiamo neppure il tempo di verificare le condizioni dei profughi. E al di là delle problematiche fisiche si dovrebbe parlare anche dei gravi traumi psicologici”. Di recente la Regione Fvg ha dotato le forze dell’ordine di foto trappole. “Non servono a nulla – dice ancora Zanussi – perché quando arriva la segnalazione non abbiamo sufficiente personale per intervenire giacché con i turni di riposo in servizio sono soltanto in sei”. Da mesi si sono quasi del tutto interrotti i trasferimenti dalle strutture di prima accoglienza di Trieste e Gorizia. Il Governo aveva annunciato di correre ai ripari realizzando un Hub, ma dopo mesi di trattative con le autorità locali tutto è ancora lettera morta.

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