“Suora della mafia”, arrestata religiosa con altri 24 indagati
Possibile che suor Anna Donelli (nella foto, la “suora della mafia”) fosse la messaggera delle ’ndrine calabresi infiltrate al Nord? La Procura antimafia di Brescia non ha dubbi e ieri mattina, su ordine del tribunale, ha arrestato anche la religiosa cremonese di 57 anni, fino a qualche mese fa volontaria nel carcere di San Vittore, perché in alcune intercettazioni raccolte da Polizia e Guardia di Finanza alcuni indagati la indicano come asservita ai voleri dei clan per fare da collegamento tra l’esterno e l’interno del penitenziario, visto il suo ruolo di assistente spirituale. Dunque, c’è anche Collina, com’è soprannominata la suora, tra le 25 persone colpite dalle misure cautelari eseguite a cavallo della Lombardia – a Brescia, Milano, Como, Lecco e Varese -, del Veneto – a Verona e Treviso -, nel Lazio, a Viterbo, e a Reggio Calabria, sede della cosca in Aspromonte. L’inchiesta iniziata nel 2021, mette di nuovo in luce, quasi ce ne fosse bisogno dopo le tante indagini di questi anni sviluppatesi in tutto il Nord, il radicamento della criminalità organizzata e la vicinanza a pezzi della politica, in questo caso non di primo piano, per stringere illegali patti strategici. Le locali di ’ndrangheta al Settentrione “sono molto pervasive, riescono ad avvicinare e a portare dalla loro parte i personaggi più svariati. In questo territorio – sottolinea il Procuratore antimafia di Brescia, Francesco Prete, che coordina l’inchiesta del Pm Teodoro Cantanti – c’è un radicamento mafioso che cambia pelle, si adegua e si adatta in maniera resiliente. C’era il tentativo di infiltrazione in amministrazioni locali. Per fortuna il fenomeno, secondo i nostri risultati, non è molto esteso”.
POLITICA – Tra i personaggi coinvolti anche il medico Giovanni Acri, ex consigliere comunale di Fratelli d’Italia di Brescia, e Mauro Galeazzi, ex esponente della Lega nel Comune di Castel Mella, arrestato nel 2011 per tangenti e poi assolto. Per la Procura a Galeazzi si sarebbe rivolto Stefano Terzo Tripodi, che gli avrebbe proposto “da candidato sindaco al Comune di Castel Mella, di procurargli voti in cambio dell’ottenimento di appalti pubblici in occasione delle consultazioni comunali nell’ottobre 2021”. L’inchiesta che vuole sgominare un’associazione di stampo ’ndranghetista, radicata soprattutto nel Bresciano, sarebbe stata protagonista di estorsioni, traffico di droga e armi, ricettazioni, usura, reati tributari e riciclaggio, nonché il presunto scambio elettorale politico mafioso. Durante le decine di perquisizioni eseguite a carico di gran parte degli indagati, c’è stato anche il sequestro preventivo di beni per 1,8 milioni di euro. Inoltre, con una società fittizia di rottami sarebbero stati evasi 12 milioni di euro grazie a favoreggiatori, tra cui avrebbe avuto un ruolo – da dimostrare – anche Acri. Tra l’altro, i Carabinieri di Brescia in un’inchiesta parallela sempre dell’antimafia locale, hanno indagato 8 persone coinvolte a vario titolo nella stessa associazione ’ndranghetista. A suor Donelli è contestato di aver messo a disposizione della ’ndrangheta “la sua opera di assistenza spirituale nelle case circondariali e di reclusione per veicolare messaggi tra appartenenti all’organizzazione criminale e i soggetti detenuti in carcere”, risolvendo anche liti tra detenuti. La religiosa a partire dall’interrogatorio, previsto entro dieci giorni, avrà la possibilità di difendersi e di contestualizzare il suo presunto comportamento illegale, che da quello che è finora emerso contesta in maniera netta. Invece, per i Pm la suora avrebbe stretto un patto con Stefano Tripodi, presunto capo dell’omonimo clan di ’ndrangheta radicato nel Bresciano, ma originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Andrea Guerrerio contro le 25 persone. Nelle intercettazioni emerge un dialogo tra Tripodi e Donelli, avvenuto nei propri uffici di Flero, in cui il sospettato di ’ndrangheta chiedeva alla religiosa di incontrare Francesco Candiloro, in carcere per reati di criminalità organizzata a Brescia, e di stare assieme a lui per comunicargli che lei era l’amica di Stefano. I metodi adottati dalla “locale” di ’ndrangheta nel Bresciano avrebbero replicato peculiari azioni criminali basate sulle intimidazioni del cosiddetto “vincolo associativo”. Alla famiglia calabrese si sarebbero rivolti anche numerosi imprenditori – affermano i Pm – per ottenere protezione e fatture false per truffare il Fisco.
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