Taranto, il cerino in mano: la resa del sindaco Bitetti tra minacce e futuro incerto
Il cerino, stavolta, è davvero rimasto in mano al sindaco di Taranto: Pietro Bitetti, civico sostenuto dal centrosinistra e in carica da meno di due mesi, ha gettato la spugna nel momento più delicato della partita sull’Ilva. In un palazzo municipale assediato da attivisti e tensioni crescenti, ha annunciato le proprie dimissioni parlando di “inagibilità politica”.
Il primo cittadino, comunque, ha venti giorni per ritirarle. Il 31 luglio, data fissata per la firma dell’accordo di programma con il governo, rischia così di trasformarsi in un passaggio monco, perché senza l’adesione del Comune, quell’intesa per il rilancio e l’ambientalizzazione dell’ex Ilva perde un tassello fondamentale. Le immagini del sindaco asserragliato a Palazzo Città parlano da sole.
Le minacce verbali, gli sputi, la folla inferocita che lo circonda: “Pagliaccio”, “infame”, “ti spacco la faccia con una testata”. Episodi che hanno lasciato un segno profondo, e che hanno portato lo stesso Bitetti a promettere una denuncia formale, nomi e cognomi inclusi. Una degenerazione che molti hanno definito “squadrismo ambientale”. Il presidente del Consiglio comunale, Gianni Liviano, ha riassunto con amarezza: “Gli enti locali non hanno il pallino, ma il cerino. Devono fare i conti con la comunità, ma non possono decidere davvero”. È un nuovo capitolo del romanzo di dolore, rabbia e impotenza che Taranto scrive dal 2012. L’eco del sequestro è ancora vivo, le ferite aperte, la città divisa tra chi chiede lavoro e chi non vuole più respirare morte.
Il governo e gli ambientalisti
Adolfo Urso, ministro delle Imprese e regista dell’accordo, è determinato ad andare avanti. Il piano è noto: tre forni elettrici, impianti Dri, obiettivo di 6 milioni di tonnellate di acciaio e decarbonizzazione entro il 2033. Dopo il vertice del 31, il primo agosto sarà il turno dei sindacati. Fim, Fiom e Uilm chiedono chiarezza, pretendono garanzie sull’occupazione, mentre i numeri attuali fanno paura: meno di 2 milioni di tonnellate prodotte all’anno, un solo altoforno attivo su quattro, e 3.500 lavoratori in cassa integrazione su meno di 10.000. Ma a Roma il quadro è già tracciato. Per il governo, l’accordo è la sola strada percorribile. “Le condizioni ci sono, e devono essere colte ora”, ha detto Urso. Il prefetto è stato allertato, il Viminale segue la situazione. Il rischio è che si proceda senza Taranto, con il Comune relegato a semplice spettatore.
Da parte loro gli ambientalisti, da anni in prima linea, sono accusati di aver oltrepassato il limite. Ma respingono l’etichetta di violenti. L’attore Michele Riondino, simbolo del Concertone del 1 maggio a Taranto, è duro: “Settimane di proteste pacifiche ignorate dalla stampa. Ora ci dipingono come barbari. È un trucco barbaro”. L’attivismo civico, dice Riondino, è stato criminalizzato, ridotto a teppismo da chi vuole screditarne le ragioni. Ma anche Angelo Bonelli di Europa Verde parla chiaro: “Il sindaco ha avuto coraggio. Ha detto no all’Aia del governo, che condanna Taranto a 12 anni ancora a carbone. Dobbiamo costruire una battaglia comune”. Ma i toni di piazza, almeno lunedì, hanno oltrepassato il limite. L’assemblea è degenerata. L’aggressività ha preso il sopravvento. La città si è lacerata.
Il passo indietro di Bitetti: il nodo politico
Il passo indietro di Bitetti ha sorpreso tutti. “Deve scegliere: o si dimette davvero, o ritiri le dimissioni e ci metta la faccia”, osserva Francesco Tacente, consigliere comunale del centrodestra. L’accusa è implicita: la tempistica è sospetta, troppo vicina al consiglio monotematico sull’Ilva e alla firma del 31 luglio. Un modo per svicolare da una scelta difficile? Al contrario nella maggioranza Bitetti è difeso. “Non si firmi l’intesa senza il sostegno pieno delle istituzioni locali. Serve confronto vero”, è la posizione condivisa da una parte del centrosinistra.
E i sindacati, se da un lato esprimono solidarietà al sindaco per quanto accaduto, dall’altro lo sollecitano a rientrare: “Il confronto può essere duro, ma deve restare civile. Il sindaco torni in carica”. Per ora Bitetti non si è più visto. Ha venti giorni per decidere se confermare o ritirare le dimissioni. Intanto il consiglio comunale si terrà, salvo sorprese. Ma senza una guida forte e riconosciuta, il rischio di uno stallo politico è alto. Taranto è stanca di promesse e di patti mai mantenuti: di sacrifici chiesti sempre agli stessi. Oggi è una città che si divide mentre il governo decide.
Tutto si gioca nelle prossime 72 ore. L’accordo verrà firmato, con o senza il Comune? Il sindaco tornerà sui suoi passi o lascerà la città nell’incertezza? La politica avrà il coraggio di assumersi la responsabilità di una scelta difficile o continuerà a scaricare il barile? Una cosa è certa: Taranto non può più permettersi né passi falsi né ambiguità. È il tempo della chiarezza. E anche, forse, della verità. Quella che finora nessuno ha avuto il coraggio di dire per intero.
Torna alle notizie in home