Economia

Tasse e Tassi

di Giovanni Vasso -


Tasse, tasse e ancora tasse. Aumentano le entrate fiscali, cresce il debito pubblico. Ma Fitch non taglia il rating come temuto e, anzi, scommette sull’Italia a patto, s’intende, di un “aggiustamento fiscale” che disinneschi il pericolo dell’aumento del differenziale tra crescita e interesse del deficit. E mentre il commissario Ue Paolo Gentiloni aspetta di conoscere i dati relativi al taglio del cuneo fiscale sul lavoro per ottobre prossimo, sembra intravedersi la fine della stagione rialzista dei tassi di interesse. Ma se non sale più il costo del denaro, non vuol dire – contestualmente – che diminuirà o tornerà, almeno nei prossimi tempi, ai livelli degli anni scorsi. Ma c’è una ragione, precisa, di contabilità pubblica: restare coi giri alti garantirebbe maggiori introiti allo Stato, mantenendo alti – seppur a limite del nominale – i livelli dell’economia e servirà a tenere i conti in equilibrio. La settimana si apre con tante, troppe, notizie. Tutte insieme. E, per certi versi, contrastanti tra loro. Almeno in teoria. Bankitalia ha snocciolato, ieri mattina, i numeri sul debito pubblico che si attesta, adesso, a 2.789,8 miliardi di euro. Si tratta di 17,8 miliardi in più rispetto a febbraio. Ma sale anche il livello delle entrate fiscali. +5,5 per cento, solo a marzo lo Stato ha incamerato qualcosa come 35 miliardi netti. Che portano gli incassi del primo trimestre di quest’anno a 114,2 miliardi, ben 5,2 in più rispetto a un anno fa. Questo fatto va letto insieme alle notazioni dell’agenzia di rating di Fitch a proposito dei conti dello Stato. La traiettoria del debito “beneficerà del differenziale positivo tra crescita e interesse nel medio termine, ponendo l’onere del debito su una graduale traiettoria discendente”. Insomma, per dirla con termini pandemici, siamo al plateau. “Prevediamo che il rapporto debito/pil scenderà al 142,3% del pil nel 2024, dal 144,4% del pil nel 2022”, dicono da Fitch. “Si tratta di un calo di 12,6 punti percentuali rispetto al picco del 2020, ma ancora al di sopra del livello pre-pandemia del 134,1% del pil nel 2019 e della mediana ’BBB’ del 55,8% del pil”. Fin qui le buone notizie. Poi ci sono quelle non propriamente positive: “Si prevede che il differenziale tra crescita e interesse diventerà negativo nel 2026 e sarebbe necessario un aggiustamento fiscale significativamente più ampio per mantenere il debito su un percorso discendente”. Insomma, tra due-tre anni sarà necessario alzare ancora un po’ le tasse altrimenti il debito rischia di non scendere sotto i livelli di guardia raccomandati dagli osservatori internazionali. Intanto, ieri mattina, il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha inviato un sms a Meloni e soci: se le stime dell’Unione sulla crescita dell’economia italiana prevedono un salto dell’1,2%, è solo perché “dipende dal fatto che alcuni elementi di politica espansiva che governo considera non sono ancora definiti e quindi non posssiamo tenerne conto”. Con la fine dei bonus edilizi, 110 in testa, le uniche misure ancora in ballo riguardano il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori, che dovrebbe subire uno nuovo scatto in autunno, e qualche aiuto sulle bollette. Gentiloni, però, non vuole drammi: “Complessivamente non possiamo dare una connotazione negativa a queste previsioni incoraggianti”. Ma se ci fosse qualche bonus in meno, lo sarebbero ancora di più. Non è un mistero, infatti, che dalle parti di Bruxelles di faccia il tifo per politiche fiscali più austere e per la riduzione degli aiuti, tutto per combattere l’inflazione.


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