Cultura & Spettacolo

Teatro e Democrazia, il ruolo dell’Aiace di Sofocle nella società. Ieri come oggi

di Michele Enrico Montesano -


L’Aiace di Sofocle, è stata rappresentata secondo gli storici circa tra il 449 e il 444 a.C. La tragedia narra le disavventure dell’eroe greco Aiace, che dopo la morte di Achille impazzisce per non aver ricevuto in dono le sue armi e sotto l’influsso della dea Atena impazzisce. Accecato di rabbia, tenta di uccidere i capi greci ma invece massacra il bestiame degli Achei. Preso dalla vergogna, cerca di riscattare il suo onore con il suicidio.
All’interno di quest’opera (cronologicamente precedente alle Supplici di Eschilo) c’è una forte valenza politica e va scovata nell’antefatto: Aiace era considerato secondo al Pelide solo per valore militare, Odisseo stesso (acerrimo nemico di Aiace) lo ammette. Egli era anér aristos fra tutti i Greci, dietro solo ad Achille. Era certo di ereditare le armi che invece sono andate ad Odisseo.
La genialità del tragediografo sta nell’introdurre la modalità con la quale queste armi sono state assegnate al re di Itaca. Contrariamente a quanto avviene raccontato nell’Odissea di Omero, dove ciò accade per sorteggio o intervento divino: “le figlie dei Teucri furono giudici, e Pallade Atena”, in Sofocle c’è una sorta – seppur embrionale – di assemblea popolare. La stessa terminologia che sceglie di adottare il tragediografo di Colono non lascia scampo a interpretazioni: dikastai o kritai, ossia giudici.
Non è solo importante il ruolo dei protagonisti che decidono le sorti della vicenda, ma anche la modalità con la quale giungono a tale decisione. Un accordo raggiunto a maggioranza e non all’unanimità. Il critico letterario Jean Starobinski parla a tal proposito di un “fatto che ha valore di simbolo” come scrive in Tre Fuori. Questa modalità di voto era molto temuta dagli ateniesi perché se essi comprendevano le forme democratiche del voto erano anche molto spaventati dalla stasis, ossia da quei conflitti interni e inevitabili che nascevano in ogni assemblea.
Ogni voto rischiava di generare una divisione insanabile. Infatti, nell’opera, ci si imbatte in contestazioni che condiscono usualmente una “sentenza” non condivisa all’unanimità. Dove la parte messa in minoranza cerca di far valere le sue ragioni. Il personaggio che incarna maggiormente questa corrente è il fratello di Aiace: Teucro.
Più avanti nel testo, egli si scontrerà nuovamente con Agamennone e Menelao sulla decisione di seppellire o meno il cadavere di Aiace. Teucro, in origine, non accetta la scelta compiuta dai giudici a discapito di Aiace, sostenendo che sia stata raggiunta in maniera illecita. Tanto che appella Menelao “fabbricatore di voti (psephopoiós)” che nasconde meravigliosamente la sua “bassezza di ladro”. Di contro, gli Atridi insistono sul “principio per cui la maggioranza decide e la minoranza deve rimettersi al volere dei più. (…) un caposaldo imprescindibile dell’intero sistema politico”, come scrive Ugolini in Sofocle e Atene.
Essi ribadiscono la regolarità della procedura che ha stabilito di affidare le armi a Odisseo, sottolineando come la decisione sia stata presa esclusivamente per volere dei giudici. Agamennone paventa il rischio della strategia di Teucro di instillare il dubbio della votazione in quanto “nessuna legge rimarrebbe più in piedi”, come recita al verso 1247. La contestazione della votazione a maggioranza rischierebbe di portare al collasso l’intero sistema politico e il precario e fragile equilibrio su cui si poggia.
Hobbes parlava di stato di natura prima della nascita delle leggi, del nomos. Prima del patto che i cittadini stipulano tra di loro per garantire la pace e l’armonia. È il caos che si organizza in confini definiti. È l’incontro di due esseri umani. È il Teatro che genera una forma dall’anarchia inevitabile, e tutti ci recitiamo dentro. Tutti noi abbiamo un ruolo.


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